giovedì 13 settembre 2018

Loro


Loro
Come si sa Orban è stato "condannato" dal Parlamento Europeo. Ricapitoliamo, si da del fascista a chi vuol far rispettare le regole? *FAL-SO* . Si da del fascista a chi sta violando sistematicamente le regole scritte che esistono, cercando di imporne altre, ingannando con la propaganda sul "nemico". Detto questo, una piccola spiegazione. Le regole a cui faccio riferimento, sono state scritte da istituzioni nate nel dopo guerra, con marcata volontà antifascista, la Costituzione Italiana, La carta dell'Unione Europea,  La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) fondativa della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, poi nel 2004 diventata la Costituzione Europea, la stessa ONU nata il 24 ottobre 1945, con il suo Statuto delle Nazioni Unite. Pertanto è evidente che tutte queste istituzioni antifasciste, sono interessate a tutelare la Storia dall'insorgere politico di qualsivoglia forma di fascismo, comunque lo si chiami. Faccio un'ulteriore semplificazione, essere o non essere fascisti è un'opzione politica. Più semplice, dipende da quali regole si desidera che si rispettino nel patto sociale di convivenza, la Politica appunto. Ora, per quello che mi riguarda, mantenendo uno schema semplice e breve, rinvio a quello che diceva Giorgio Almirante:<< _Noi siamo fascisti e cattolici. Ma soprattutto, prima di tutto, orgogliosamente fascisti_ >>. Sul web i seminari teologico politici sono facilmente rintracciabili ed essendo proposti da studiosi hanno anche elementi interessanti. Al contrario io sono prima di tutto, anzitutto, forse è meglio che lo dica, esclusivamente cattolico. Tutto il resto viene dopo e dipende da questo. Ognuno sceglie. Ed io lo dico pubblicamente. Quello che non capisco è l'esito di certi percorsi di formazione cattolica che pare vogliano essere esclusivamente evangelici e poi dall’interno c’è chi pretende che le idee di Salvini siano in qualche modo condivisibili. Salvini fa politica. Ed è al posto giusto al momento giusto per fare la sua politica, ma con il Vangelo non c'entra niente, né in modo diretto, né indiretto. Rispondo alla furba domanda, perché gli altri? La Politica oggi è laica, solo laica. Circa l’Europa, la Chiesa con la sua lungimiranza fece di tutto affinché nella Carta Costitutiva si sancissero le radici ebraico – cristiane. Questa lungimiranza non fu compresa. Le classi dirigenti politiche post muro, sul piano del giudizio storico, a mio personale parere, sono per niente lungimiranti. Altrimenti non discuteremmo oggi tra diritti umani e sicurezza. Un tale dibattito è una trappola, in quanto non ha prospettive. Ad ogni buon conto, se i Diritti dell'Uomo sono in discussione in base al criterio " *Prima Noi* ", questo criterio non c'è nel Vangelo. *NON C'Ė*. Allora parliamo solo di Politica, senza nascondersi. Se il criterio che anima le scelte è *Prima NOI* , uno sceglie di stare con Salvini, Trump, Putin, Orban. Se il criterio è *Fascismo mai più*, allora nessuna esitazione ad opporsi alle loro politiche. E qui c’è una questione importantissima, a mio avviso. “Loro”, chi?  O meglio, “Loro”, come chiamarli? Fascisti non vogliono essere chiamati. Dargli torto?! D’altronde Umberto Eco lo insegna, “ _troppo facile aspettarsi altre camice nere e leggi razziali per identificarli_”. Prima di lui Giorgio Almirante: << _Un altro duce oggi sarebbe ridicolo. Né sarebbe accettabile un fascismo violento, contrario alla libertà. Quel fascismo ha concluso la sua fase storica >>. Cito anche Gianfranco Fini, circa le leggi razziali: << _Un errore che generò un orrore_ >>. Il livello è già più basso, ma la comunicazione efficace. Tornando al tema, senza un nome nuovo, si finisce nelle pastoie delle definizioni senza contenuto. Dalla mia parte è più semplice, basta dirmi europeista. Anche questo andrebbe aggiornato, ma per ora va bene. I miei valori, stanno nella carta costituzionale, in gran parte. Loro, gli antitetici? Quelli del patto di Visegrad, i visegradini? Oppure da quel “meglio che state a casa vostra”, i me.che.sta.vo.? Dal “prima noi”, i primati? Scherzo, lo so che sapete cosa significhi. I primatisti? I primari? Vi piacerebbe, eh?. Insomma per ora non c’è nome. C’è solo “Loro”. Loro gridano: avete depresso l’economia, schiavizzate i poveri e li costringete a venire da noi minacciando il nostro modo di vivere, siete incapaci di capire, sono “ _stronzi_ ” [è una citazione] all’ONU, al Parlamento Europeo, e tutte quelli delle classi dirigenti di sinistra, eppure tutti quelli che sono di sinistra, “_sporchi comunisti_ ”. E se si vuole ragionare, sono disponibili, purchè sia chiaro il principio: “Prima di tutto hanno ragione LORO!!”. In Italia in questo contenitore poi ci stanno “ _diverse sensibilità_ ”. Altra citazione, la Politica ha il suo linguaggio, a volte sorprende per fantasia. Si pensi che in Italia di sicuro Salvini, Berlusconi, Meloni e Di Maio, sono sempre “Loro”, ma oggettivamente ci sono differenze qualificanti. D’altronde a pensarci bene, anche per identificarmi ci vuole un nome nuovo. Infatti negli USA tra John McCain e il Premio Nobel Barack Obama, avrei scelto il senatore repubblicano. Nell’ultima campagna elettorale, probabilmente Sanders. Per via di quel fatto di sopra, di essere cattolico. Che mi fa strizzare lo stomaco quando dicono che Gesù era di sinistra. Ma in quale passo del Vangelo? E poi vogliamo dirla tutta? Ci sono forze politiche che in quanto credenti ci qualificano come creduloni. Questo lo dico io, in quanto non ci considerano proprio, anzi per niente. Per cui ci vuole un nome nuovo anche di qua. Dove si possa stare insieme, tra pari, per un mondo che si regga sui Diritti dell’Uomo, sulla Legge Morale, la Legge Naturale, i Valori della Condivisione e della Solidarietà. Ohps! Stavo per cimentarmi in una bozza di manifesto.  Va bene così, in  attesa che la Storia e la Politica partoriscano i propri _leader_ per questa parte di secolo che abbiamo davanti. Con la buona speranza che la Cultura venga in aiuto per chiarire termini e concetti del mondo contemporaneo e offrire appartenenze chiare, nomi chiari con cui chiamare Uomini e Idee, così da identificare gli uni e le altre. [Naturalmente per “Uomini” intendo l’Umanità maschile e femminile].
In questa attesa mi concedo, da cattolico, di tornare al Vangelo, per la Buona Notizia: - La Morte è stata sconfitta -. Pertanto quello che si sceglie in questa vita è per l'Eternità.
                                                                         Arturo Lanìa

domenica 12 agosto 2018

C’è sempre qualcuno che resta deluso


C’è sempre qualcuno che resta deluso

Tra gli scaffali della libreria si nota subito. Il formato è quello che usa l’editore Guida, rettangolare, come se il testo allungasse un poco il collo tra la folla di volumi in attesa di lettore. In copertina un frammento del dipinto di Seurat, Une baignade a Asnieres. La scelta è per il soggetto, un tipo al sole con bombetta e cagnolina a seguito. Ma io ci colgo un elemento, un quadro impressionista, macchie di luce e colore, da ricomporre nel loro senso. La mano lo coglie, mossa dall’automatismo della curiosità, al tatto la copertina è un piacere. Il titolo colpisce, come tutto il supporto, C’è sempre qualcuno che resta deluso. La mente muove i suoi passi dietro a pensieri, riflessioni, ricordi. Poi gli occhi si accorgono del sottotitolo, I risvegli di Tramontano e Frida. La pittrice spagnola accostata ad un impressionista? La mente continua a vagare dietro i pensieri, da tanti stimoli attivati,  in quella rete di neuroni che pare che ciascuno abbia, numerosi come le stelle in cielo. Una mente che attiva anche automatismi, come guidare lungo un tragitto senza renderse conto, o più semplicemente sfogliare le pagine del testo che si ha tra le mani, come un mazzo di carte da mischiare. Così viene all’attenzione un rigo a caso: - Cosa significa essere poeta? – Ecco qui che ci sarà la solita retorica fritta, viene da ipotizzare. Così al caso è sostituita l’intenzione, vediamo dove vuole arrivare. Ai due righi di sotto: - La risposta arrivò fulminea, ma con un tono di voce delicato: “Essere poeta non è una mia ambizione. È la mia maniera di stare solo! – Oh! La risposta ha una sua struttura piacevole. Ma perché il punto esclamativo? Vale la pena sfogliare ancora, giusto per capire se quei tre righi sono riusciti così, senza possibilità di ripetersi. Non è necessario andare lontano, il capitolo successivo inizia nella pagina accanto e si intitola – Frida -. Può darsi che si comprenda chi sia la donna del sottotitolo? Una pagina, poi la seguente: - Lui desiderava ad ogni costo la sua isola e sapeva che per trovarla ci voleva qualcosa in più. Per arrivarci era necessario il sogno. – Certo che in questo libro confezionato come una scatola di altri tempi, si incontrano parole croccanti. Ed ecco Frida: - la cucciola meticcia di pelo biondastro e occhi color castagna che producevano sguardi umani. – Ah ecco, la copertina, Tramontano è il protagonista e la cagnetta l’accompagna, ma in cosa? A quel punto la mano non può più riporre il testo sullo scaffale. Il libro deve seguirmi a casa. Seduto in poltrona le pagine vengono sfogliate in ordine, dall’inizio alla fine. Ma alla fine si comprende che questa convenzione poteva essere sovvertita serenamente. I capitoli potrebbero essere novelle, raccolta di racconti, e seppure il finale offre una sorpresa che si lascia a ciascun lettore il gusto di svelarla, potrebbe essere tranquillamente letto dalla fine. O per capitoli scelti. Con il gusto di rileggere più volte singoli capitoli, per ripetere il piacere della prima lettura. Piacere di parole croccanti ho detto sopra. Come patatine fritte, buone come una volta. Un piacere, diciamolo, a cui anche il palato più raffinato non sa sottrarsi, non fosse altro che per il rimando ai ricordi di infanzia che ogni singolo scroch! sa stimolare. Ricordate la madaleine di Proust? O non che io l’abbia letto, né conosco alcuno che l’abbia fatto, ma tutti sanno che sul filo del ricordo stimolato dal sapore del dolcetto, lo scrittore francese costruisce un capolavoro in cinque volumi. Ecco Massimo Luongo, l’autore, è arrivato il momento di citarlo, fa lo stesso con la croccantezza delle sue espressioni. Una storia di ricordi è la struttura del romanzo. Gli ultimi anni dell’amicizia di Tramontano e Guastaferro. Passeggiate, incontri, delusioni. Luoghi dai nomi noti ai napoletani, ma che potrebbero trovarsi ovunque, a Milano,  a Venezia, a Genova, in un piccolo paese di provincia, come di una grande città. Spazi di occasioni di un quotidiano che prende senso dal racconto. Un racconto che risponde al bisogno di senso che tutti hanno per la propria esistenza. I fallimenti fanno la trama della storia dei due amici, che dei falliti non hanno alcuna vocazione. Si tratta del sapore amaro che acquista l’esistenza, quando non vanno più bene gli affari, per via di eventi ingestibili e imprevedibili. O per l’incrinarsi o addirittura sgretolarsi dei rapporti familiari senza un vero perché che possa spiegare tutto. Così solo le parole possono restituire quel necessario senso che a nessuno può mancare per vivere veramente. I due amici sono appassionati della vita e non hanno mai avuto intenzione di abdicare alla sovranità di vivere. Né Guastaferro che nel nome esprime durezza e spirito critico. Né tantomeno il “signor Tramontano”, con un nome che ricorda il vento freddo del nord, ma anche gli sprazzi infuocati del tramonto. Infatti è proprio così, la vita quando declina può appassirti, ma può anche infiammarti di poesia e speranza, a cui il “signor Tramontano” non ha alcuna intenzione di rinunciare. Strumenti irrinunciabili nello scontro quotidiano con gli eventi alienanti. Nel loro spessore i due amici non impediscono a nessuno identificazioni, immedesimazioni o semplici rimandi a riflessioni personali. – C’è chi pensa che l’infelicità non è un’anomalia della vita, ma semplicemente una rappresentazione della sua normalità; questo potrebbe anche essere giusto. La cosa difficile da accettare, è che non si può impedire. – Non si per quale motivo c’è la virgola. Si potrebbero correggere molte espressioni, con la matita rossa correggere i refusi, eppure tutto regge così come è, metafora della perfetta imperfezione dell’esistenza. Questo “signor Tramontano” percorre l’esistenza con la fierezza di tanti, nonostante tutto. Nonostante tutte le imperfezioni. Per queste imperfezioni ogni lettore è libero di ricostruire i propri pensieri, di accostarli, come i propri personali ricordi a cui la mente vaga con lettura. “Il signor Tramontano” ama, da imperfetto, senza pretendere nessuna perfezione, che altro non è che una pretesa ideologica del vivere. La stessa cagnetta, dal nome senza nessuna attinenza con la celebre pittrice, non è un surrogato affettivo di un uomo solo, ma l’espansione senza confini di una capacità di amare che inonda la quotidianità. Così il quotidiano di ricordi può essere sostituito dal lettore dai personali, mentre ripone il libro sulle ginocchia tra una pausa e l’altra di lettura. Magari può trovarci anche le parole che aiutano a ricostruire, a ricordare, a narrare. – Il caffè scendeva lento e denso dalla macchina sbuffante vapore, per scivolare nel candore assoluto della tazzina rovente -. Se si può guardare con occhi così il momento quotidiano per eccellenza, figurarsi la serie di incontri che si fanno sempre, ogni giorno, se si hanno le parole per osservarli, se si ha il cuore per conservarli. Seguendo il sentiero delle parole, anche lo sguardo per il quotidiano familiare può trovare materia di senso. Solo col senso si conquistano spazi di vita, solo le parole che si fanno racconto hanno il potere di dare senso ai frammenti dell’esistenza, che ricomposti diventano storia. Ecco il signor Tramontano, la sua cagnetta Frida, il suo amico Guastaferro che è passato ad altravita, ed ancora tutti gli incontri, le persone vere o immaginarie, le comuni come le estreme, prostitute in cerca di riscatto, barboni poeti, donne in cerca di identità e lo scrittore Pessoa solo immaginato, sono tanti altri attori dei capitoli/novelle del nostro testo. Insieme a sacerdoti gentili, donne in metropolitana, la famiglia Tramontano, con moglie e figlie. La vita con i suoi personaggi/persone di una vita comune, che con le parole gustose e croccanti, come le buone patatine di una volta, prende il suo sapore buono. – Cosa si salverà del mio vissuto? – Si chiede ad un certo punto il “signor Tramontano”. Gli risponde Nick Molise, il barbone poeta: “Io so di lasciare pagine di vita. … un po’ irritanti, un po’ guascone, … irriverenti … Ciò che conta di più è quello che vivo adesso, in equilibrio sul filo del miracolo o sui binari consumati, ma stabili della mia poesia.- Non c’è dubbio, che il senso della vita, per avere corpo ha bisogno della partecipazione di chi la vive. Di strumenti. Della forza delle emozioni, dell’intreccio delle relazioni. Tra le tante cose, i ricordi del “signor Tramontano” hanno questo da insegnare. Nel testo ci sono tante citazioni, canzoni di tempi andati e rimandi a pellicole d’autore. Viene citato è Frank Capra, che tra le sue pellicole, una volta si diceva così, ha - La vita è meravigliosa -. George Bailey, il protagonista, sperimenta il fallimento, ed ha la possibilità di sperimentare come sarebbe il mondo se lui non fosse mai nato. Scopre così che il senso di una vita è nella rete di relazioni che ha intrecciato senza nemmeno esserne consapevole. Ecco, anche a questo può far pensare C’è sempre qualcuno che resta deluso. Marilena, un altro personaggio ai margini del vivere, per via di quella traiettoria verso il basso che fa tramontare ogni esistenza dice: “Non c’è la faccio più,…, questa non è vita. Non ho gli strumenti per sopportarla e se neanche Dio mi vuole aiutare, non mi resta altro che chiuderla qui.” Il signor Tramontano l’ha incontrate per caso, non ha lo spirito del pompiere e nessuna dote da psicologo. Fa un – gesto semplice, quanto disarmante – si interessa a lei. Facendole compagnia, le restituisce le parole che fanno di una parabola matematica, il racconto di un’esistenza e le restituiscono il sapore del senso. Ecco, si potrebbe dire che i “risvegli del signor Tramontano” sono risvegli di senso. Leggere questo libro è una scelta sensata.
                                             Arturo Lanìa  

mercoledì 4 luglio 2018

Il Dio degli Sfigati


Il Dio degli Sfigati

Una volta, un amico a me caro, un uomo capace, che con sacrifici e impegno, ha costruito la sua carriera da ingegnere, la sua azienda, la sua famiglia, mi disse che non "andava in chiesa, per non nascondersi tra gli sfigati". Fuori dal contesto, la frase si presta a critiche, ma il mio amico non è un acre mordace, ma un mite e riflessivo. Espresse l'idea che si era fatto, osservando. Anche io, che amo vivere la messa tutti i giorni, mi guardo intorno e vedo donne anziane, religiose, qualche tipo curioso ed io. Il ragionamento parte proprio dall'affermare il punto, in chiesa ci vanno gli sfigati ed io lo sono. Sono finito in una precarietà angosciante, ed in altri problemi che non elenco, che mi pongono in una oggettiva condizione di fragilità. Roba che nemmeno nei miei incubi mi sarei aspettato in gioventù. Proprio la mitezza e la ragionevolezza del mio amico illumina una constatazione. Solo in una chiesa, o meglio nella Chiesa, trovo diritto di cittadinanza e dignità. Non è poco. Un giorno a messa con me c'era un uomo che anni fa aveva una professione, il gioco e l'alcool si sono mangiati tutto, anche la famiglia. Dove poteva trovare dignità di accoglienza? Affacciamoci un attimo nello schema culturale che propone il mondo. Guardiamo alla politica dei paesi in cui viviamo. Una veloce sintesi fatta con un elenco di nomi. Donald Trump scelto dai democratici cittadini degli USA. Putin da quelli russi. Poi ancora la Meyer in Gran Bretagna, Sebastian Kurz in Austria. Non dimentico nemmeno Pedro Sanchez in Spagna oppure in Francia Macron e Édouard Philippe. Il fatto che sottolineo è culturale, non di geografia partitica che non so più nemmeno se ancora regge per distinguere. In Italia abbiamo il tridente e concludo l’elenco, Conte, Salvini, Di Maio. Insomma togliete al mondo quanto in questi duemila anni di Storia ha immesso la Chiesa con l’annuncio di Gesù Cristo e del “suo Vangelo della Montagna”, di quel suo “beati i poveri”, e l’essere umano è ridotto a nulla. Quell'arcano destino per cui alcuni possono accedere a risorse economiche e altri no troverebbe la soluzione con “il destino manifesto”, sulla base del quale i governi USA deportarono i nativi americani in riserve. Nel karma, di matrice indiana, che consente una società con paria senza alcuno scrupolo morale da parte di nessuno per occuparsi della loro emancipazione. Insomma, usando una categoria abbastanza nota di ragionamento per stigmatizzare, varrebbero solo gli uomini che posseggono. Gli altri, “sfigati”, colpiti da una sorte per qualunque motivo, trascendente, immanente, consequenziale, avrebbero l’unico diritto possibile alla loro condizione, deprimersi. Eppure a messa, me, l’ex professionista ed ex alcolista, le anziane signore, gli ammalati colpiti da malattie fisiche e mentali, i poveri del quartiere dove ero a celebrare, qualche tipo strano che non aveva dove andare, eravamo tutti insieme di fronte a DIO. Tutti i giorni non ci riceverebbe né un Sindaco, né un Presidente, né un Re. Lui si. Possiamo affermare che non esiste, che sia solo un’invenzione? Certo c’era la chiesa, bella addobbata, i sacerdoti, i ministranti, i cantori, i catechisti, il popolo orante. Per essere uno che non esiste ne è capace di fare di cose. Quelli che esistono allora possono meno? Se possono meno allora che - ci sono -  a fare? Se quelli che - ci sono - possono meno, ma hanno di più a cosa gli serve avere di più? A considerare quelli che hanno meno dei colpiti da una sorte infelice? Pensate, il vangelo del 21 giugno, giovedì, diceva, quando parlate a Dio chiamatelo Padre Nostro. Immaginate, ci sono anche i figli e proprio il Padre non esiste? Un Padre Nostro che ci ama, ci accoglie e ci ricorda. Si rivolge a “noi sfigati” e dice : <<Beati voi>>. Un fantasma, un’invenzione potrebbe parlare con tanto amore? Lasciando questa affermazione alla Storia Universale. Facendola diventare una pietra angolare su cui costruire e su cui chi ha dovrà sempre confrontarsi. Infatti in questa epoca in cui “gli sfigati” che vengono da Sud li si vorrebbe ributtare a mare. << State a casa vostra. Il di più che abbiamo è nostro e non vogliamo condividerlo. Difendiamo i nostri confini >>. Il pensiero del mondo è questo. A dire il vero non solo per quelli che vengono da Sud, ma da qualunque angolo della Terra, che siano vicini o lontani. Guardate bene, guardate quello che si vede. Il Dio “degli sfigati”, dei poveri, degli ultimi, degli esuli, dei malati, dei senza speranza, non ci lascia mai soli. Né mai permette che ci si dimentichi di noi. Invisibile, non si può dimostrare che esiste, eppure il suo popolo, i suoi figli, i suoi poveri, hanno sempre un posto speciale nella sua Chiesa.
Non so cosa avverrà nei prossimi tempi. Quello che so è che è ancora tempo per “La Buona Notizia”.

sabato 10 febbraio 2018

I neuroni di don Antonio


I neuroni di don Antonio

Il tema dei neuroni specchio interessa da tempo la mia riflessione. In generale, i neuroni sono cellule che formano il nostro tessuto nervoso. Detto in termini letterari, da essi dipende in gran parte chi siamo. Da anni, abbiamo scoperto, intendo gli scienziati di noi umanità, i neuroni specchio. Quelli che servono all’apprendimento. Si producono per emulazione. Tu vedi suonare un grande artista la chitarra e diventi un chitarrista eccellente. Magari! Non proprio così. Se hai una base, sai suonare una chitarra e vedi un grande chitarrista suonare, si producono nel cervello un gran numero di neuroni specchio. All’incirca, questo è il meccanismo. Quello che poi succede, dipende sempre dal soggetto, di certo ha un gran numero di informazioni nella sua testa per migliorare la propria performance d’apprendimento. Mi è capitata qualche giorno fa una storia, che a mio parere descrive un’attuazione pratica di questo meccanismo neurologico. Il fatto è questo, statemi a sentire. Don Antonio è un sacerdote napoletano di quarantatre anni. Originario di Torre del Greco, frequenta da piccolino una parrocchia napoletana. La famiglia ha nella zona un’attività commerciale, dato che la il parroco, don Emanuele, tiene una scuola primaria ed elementare, i genitori del nostro Antonio trovano comodo fargli frequentare le scuole nei pressi del loro lavoro. Il bambino è affascinato dalla figura del parroco di S. Onofrio al corso Umberto I. Gli piace il suo modo di fare, è attratto dalla vita di chiesa. Finite le elementari passa alle medie, che inizia nel suo paese di Torre del Greco. Prova a ripetere lo stesso schema di vita a cui era abituato, scuola e parrocchia, gli va bene. Nel paese ci sono i frati di San Francesco, che hanno molte attività pastorali per i giovani, che culminano con i campi scuola, di cui Antonio conserva un ricordo di armonia e amicizia. Ad un certo punto gli viene naturale pensare alla vita religiosa come scelta esistenziale e comincia a farlo presente al parroco della comunità francescana. Questi, preferisce scoraggiarlo. Rinvia ogni ragionamento al dopo diploma. Su questo orientamento, la vita di Antonio prende un’altra traiettoria. Diciamo, col gergo tradizionale “di noi di chiesa”, si fa prendere sempre più dal mondo. Si fidanza, esce con gli amici, attratto da altri interessi, in parrocchia va sempre meno, fino a quando non ci va proprio più, nemmeno la Domenica per la Santa Messa. Che è tutto dire. Il diploma arriva, ma dato che i programmi sono cambiati, si interessa a cercare lavoro. Con l’aiuto dei familiari apre una pizzeria. Che storia! Imprenditore della ristorazione. Tutto fatto. Ma i neuroni sono in attesa di essere attivati. Per quei casi della storia, che poi si dice siano il modo di Dio di agire in incognito, andando dai suoi genitori, il giovane imprenditore e l’oramai anziano don Emanuele si rincontrano. La memoria porta al presente tutti i bei ricordi, di quell’esperienza di vita che aveva stimolato ideali e progetti. La figura di don Emanuele esercita ancora il suo fascino di bontà, amicizia e carità concreta. Sono tante le opere a cui il sacerdote ha dedicato la vita. Testimonianza dell’amore profuso nella sua scelta esistenziale. Così Antonio prima riallaccia un’amicizia, poi si fa coinvolgere in qualche attività, infine apre il cuore e confida la sua primaria aspirazione, che scopre essere ancora operante nel suo cuore. Per quello che serve a me è meglio scrivere - operante nella sua mente -. Antonio, si è capito, ha preso la via del seminario e questo anno compie i primi dieci anni di consacrazione. Un compimento che ha inaugurato dandosi all’evangelizzazione, proprio nella parrocchia di S. Onofrio, pur avendone una sua, al corso Vittorio Emanuele, la parrocchia di S. Maria Apparente. Orbene, che ruolo avrebbero giocato i neuroni specchio in questa storia? Quello che dico è impossibile dargli un valore scientifico, in quanto improponibile per un laboratorio. Solo l’osservazione letteraria ne può trarre comunque fruttuosi spunti. Infatti, c’è l’esperienza iniziale dell’infanzia e dell’adolescenza, che costruisce una memoria di buoni ricordi. Quando si ripropone la figura di don Emanuele come paradigma esistenziale, tutte quelle informazioni si riattivano e generano neuroni specchio, un’emulazione di comportamento, che chiede di svilupparsi ancora più nel lungo periodo. Infatti, da sacerdote, don Antonio va a Roma per partecipare all’evangelizzazione di don Fabio Rosini, che tiene un ciclo di catechesi con un percorso da lui stesso elaborato, venticinque anni fa, che si chiama “Le Dieci Parole”. Da questa figura altrettanto carismatica del “suo don Emanuele”, trae allo stesso modo materia per i neuroni specchio. Infatti l’emulazione si fa impellente per essere messa in pratica ancora una volta. Così don Antonio tiene nella parrocchia di S. Onofrio il suo primo ciclo di catechesi “Le dieci parole”. Il luogo primario della sua vocazione, almeno sul piano del racconto, il luogo dove rimette insieme la determinante figura carismatica di don Emanuele, quella altrettanto determinante di don Fabio e tutto il percorso della sua vita.  Per rafforzare il senso dello schema che intravedo nel racconto, usando la conoscenza dei neuroni specchio come chiave di lettura, ho necessità di fare un parallelismo con un’altra storia che sto seguendo da vicino, quella di Santa Teresa D’Avila. Senza accostamenti impropri su virtù ed altri aspetti di santità, vero è che Teresa da piccina, figlia di genitori pii e devoti, era tutta dedita alle cose di chiesa. Quando adolescente cominciò a frequentare una sua cugina frivola, fu distratta dalla sua naturale inclinazione e assorbita dalle cose mondane. Solo il contatto successivo con una santa monaca, rimise in traiettoria la sua storia e in asse la sua vocazione. Nel primo dei suoi famosi testi, tra i suoi primi consigli ai principianti dello spirito, fa notare quanto tempo si perde con i consigli sbagliati di padri spirituali impreparati. A tal proposito, sottolinea un aspetto che mi da molto da riflettere. Ella dice che un consigliere è bene che sia di orazione e spirituale. Ma è necessario che sia prima di tutto preparato.
_Ho detto questo perché si crede che i dotti senza spirito di  orazione non siano atti per chi lo ha. Certo che il direttore deve essere uomo di spirito, ma se non è anche dotto, l’inconveniente è gravissimo. Il dotto è di aiuto anche se non ha spirito di orazione, purché sia virtuoso. Chi tratta con lui profitta molto. Dio gli insegnerà quello che deve dire, e talvolta, perché giovi di più, lo renderà anche spirituale._ ( Vita di S. Teresa d’Avila – cap. 13 pr. 19 )
Se ha tutte e due le qualità è meglio, ma dice la Santa, tra le due la principale qualità è la preparazione. Dalla vita della Santa, dottore della Chiesa, potrei trarre altri elementi. Mi fermo a questi per restare sul pezzo, senza farne un trattato. Nelle due storie a me pare di poter ben individuare uno schema. La necessità dell’esperienza. Parola che va chiarita. Si intende certo una pratica applicazione di conoscenze, appunto prima le conoscenze, poi la pratica. Plinio il Vecchio scrisse: “ _Se all’uomo non gli si insegna non sa fare altro che piangere come le scimmie_ ”. Riscrivo, quanto è necessario formare delle buone esperienze che formino una memoria. Esperienze che hanno bisogno di essere guidate da una parola e da un esempio. Quanto tempo si perde, anche se accade a tutti, dietro consigli sbagliati dati per impreparazione. Nessuna perdita di tempo è definitiva. Quando la “buona memoria” si riattiva, si riprendono i percorsi esistenziali. Inoltre, mi pare giusto affermare che arrivati a consapevolezza buona cosa scegliere bene le esperienze, evitare le dissipazioni. Le persone che ci aiutino si possono scegliere. Anche Santa Teresa lo consiglia: _ Si ringrazi il Signore della santa libertà concessa di scegliere un direttore a proprio talento e si guardi bene dal perderla! Meglio piuttosto rimanere senza guida, fino a quando il Signore non conceda di trovarne, come avverrà certamente se si procede con umiltà e desiderio di riuscire. […] Io lodo il Signore di tutto cuore […] per aver Egli voluto che vi fossero al mondo persone, che a costo di tante fatiche, sono riusciti ad acquistare la vera scienza, che noi poverini non abbiamo._ (op. cit.). La vera scienza ci segnala che la formazione del nostro tessuto nervoso ed in particolare di quella parte che ci rende capaci di fare, aggiungerei di pensare, dipende da dove portiamo la nostra attenzione. Sono testimone che portando dei ragazzi a vedere dei film il loro comportamento, le loro capacità di ragionamento, mutano sensibilmente. Come se acquisissero elementi ulteriori per vedere. D’altronde succede anche con i libri, le mostre d’arte, mettono nella testa qualcosa più che informazioni, ma delle vere e proprie strutture. L’uso che se ne fa, come dicevo all’inizio, dipende dalle scelte. Per questo ragionamento, conta il fatto che ci siano. Soprattutto conta che la parola di qualcuno ci raggiunga per indirizzarci e l’esempio, che si può trarre anche dalla lettura di buoni libri, generi in noi un paradigma da mettere in pratica.  Il nostro destino dipende da una serie di circostanze, mi è difficile sposare la tesi che sia tutto nelle nostre mani. Però la storia di don Antonio mi convince che possiamo scegliere i nostri pensieri e seguire percorsi che realizzino le nostre aspirazioni esistenziali. Scegliere continuamente in modo consapevole per costruire. Fidarsi solo di chi le cose le conosce. Per scegliere bisogna cercare. La ricerca è aperta. Come il ragionamento.
                                                                                               Arturo Lanìa


martedì 9 gennaio 2018

*Sarà capitato anche a voi*
- Sarà capitato anche a voi di avere una musica in testa sentire una specie di orchestra suonare suonare suonare suonare zum zum zum zum zum zum zum zum zum.
Una piacevole canzonetta del 1969, cantata dalla grande Mina, inizia così. L’onomatopeico “zum zum zum” che simpaticamente intonava la nostra, sulla carta assume una sonorità meno dolce, più alienante. Come le parole che arrivano continuamente nelle nostre teste. Il tempo a disposizione da vivere con i nostri affetti diventa sempre meno. La maggior parte del tempo in viaggio verso il lavoro, a lavoro, di ritorno da lavoro. Poi le incombenze della gestione familiare, al market, dal medico, negli uffici burocratici. Sarà capitato anche a voi che il parlare della moltitudine che ci circonda di venti “zum zum zum”. A volte si distinguono stringhe di parole. Non tanto per il fatto che abbiano un interesse particolare, ma in quanto così ripetute, così zum zum zum, che ormai si distinguono dagli altri suoni vocali. Sarà capitato anche a voi, di sentirsi dare del matto. Matto, quando chiedi a qualcuno di non spingere in una fila. Matto, se dici a qualcuno che non sei d’accordo con quello che dice. Addirittura, malato mentale, frustrato pieno di problemi, se rimproveri la poca educazione. E va di lusso, ad una mamma di Torino, che ha rimproverato degli adolescenti per le bestemmie che dicevano in un parcheggio, davanti al figlioletto, l’hanno pestata a sangue. Vero che le parole feriscono, ma sempre meglio dei cazzotti. Zum zum zum. Sarà capitato anche voi, credo. A me si e sotto i miei occhi capita anche ad altri. Un’onomatopeica diffusiva, radialmente, raggiunge sempre più ambiti. Aumentano gli estranei anziché i familiari. Sarà capitato anche a voi di accorgervi che quest’anno, sottolineo per la prima volta, le persone avevano una grande difficoltà a fare gli auguri di Natale. In questo spirito è lecito e consequenziale cercare luoghi di mitezza, ma l’esito spesso è deludente. Sarà capitato anche a voi accorgervi che nelle parrocchie, pare che le persone cerchino più il branco per la forza dell’appartenenza, che lo spirito di comunità. Così sulle loro bocche eccheggiano zum zum zum minacciosi. Quello che non vi sarà capitato è un matto affibbiato per aver confidato un fermo desiderio di ricerca della pace. Interiore, allontanando ogni esogena corrosiva alchimia. Certo “nessun uomo è un'isola”, per questo non è il ritiro dal mondo la soluzione, ma la messa in campo di nuove idee, che rafforzino e migliorino la visione del mondo, per starci dentro, senza farsi inquinare. Così che tutto sommato, zum zum zum può diventare anche un simpatico motivetto. Come si sa, se la Provvidenza provvede ogni buona intenzione può avere un buon esito. Oggi mi sono arrivate le parole del celebre monaco Anselm Grün: « *_La gratitudine è l’atteggiamento da tenere nei confronti di Dio, ma anche nei confronti della propria vita. Siamo grati per l’amore che possiamo provare. Sperimentiamo che in fondo l’amore è sempre un dono che ci viene immeritatamente concesso … Questa gratitudine, come sempre quando si tratta di spiritualità, necessita di essere espressa. E deve essere praticata anche nella quotidianità_* ». Mi pare un grande aiuto. Ne ho anche un’altra: « *_Nella mia anima posso creare un luogo dell’eternità all’amore. Questo implica che io non mi fissi sulla mancanza di amore per cui sto soffrendo, che non passi il tempo a guardarmi attorno per vedere se gli altri mi amano oppure no. Al contrario, posso immaginare di avere dentro di me una sorgente di amore divino che non inaridisce mai, che non si prosciuga mai, che è eterna_* ». Questa è un poco più impegnativa, richiede una certa attitudine. Però, sapendo dove andare è sempre più facile camminare. Magari proprio con l’aiuto di un simpatico motivetto: _matto matto matto_ . Anche perché i matti in genere hanno belle storie da raccontare, forse per aver vissuto meglio la vita.
                                                Arturo Lania