lunedì 31 ottobre 2022

Destra e sinistra son tutti uguali

 Destra e Sinistra, son tutti uguali.

Mi occorre leggere. Ho del tempo. Certo. Voluto, per leggere. Sono per strada e mi fermo al “mio posto” dove so che seduto, in verandina, con teiera e tazza in porcellana, un tè lo pagherò due euro. Gli aspetti belli di questa città nel golfo mitologico che ancora oggi fa echeggiare il nome di Parthenope. Chiedo la mia bevanda e mentre vado ad accomodarmi un altro avventore mi canzona: “Frate’, ma nun è meglio ‘nu spritz, che te arripiglia”. Sorrido, anche sto fatto che “i fratelli” intriganti li trovi alla mescita di un baretto fa parte degli aspetti belli delle città. Soprattutto nei suoi quartieri antichi e popolari. Al tavolo, mi godo il tè mentre leggo e prendo appunti. Un altro signore arriva svelto, “Un aperitivo a volo a  volo”. Meno esigente di me. Un bicchiere di plastica, cannuccia, ghiaccio e qualcosa dentro di rosso, seduto giusto il tempo di due o tre sorsi. Contento va via. Mi fermo con lo sguardo in aria, pensoso sulle parole appena lette nel mio e-book, che cerco di memorizzare. Si ferma sulla veranda e ride divertito, un tipo bassetto, di mezza età, sorridente, allegro, divertito. “Dovete far la faccia gialla per il fegato che si è fatto tanto”. Fa un gesto con le mani per simulare un rigonfiamento. Ride di gusto, interloquendo con il gestore, la moglie e un paio di amici che sono con loro. Penso si tratti di calcio. Una passione che anima le discussioni da sempre e il divertimento di sfottere gli sconfitti è sempre gustoso. “Avete perso. Rosicate. Sempre anti, sempre anti. Mo’ avete avuto la lezione”. Qualcosa non torna, frasi che non riesco a collocare. In genere lo sfottò è tra i napoletani che tifano Napoli e quelli, numerosi, che parteggiano per la Juve. Ma “anti” a chi si riferisce. “Io milito da giovane. All’Università quante ne ho prese”. Sogghigna compiaciuto, accompagnandosi con ampi gesti delle mani. “Ma quante ne ho date”. Ormai è gasato, i ricordi di gioventù lo animano prepotentemente, insieme alla soddisfazione di un risultato agognato da una vita. “Ho militato nella Destra Sociale. Poi per un po’ di anni ho fatto il cattivo…” Ghigna, sempre più divertito e si guarda intorno. Per un attimo abbassa un poco la voce. “Ordine Nuovo… Questa gente qua…Ma poi ho lasciato”  La soddisfazione e il divertimento sono coinvolgenti, vibra intorno a se stesso fino a che un’onda arriva a me e mi scappa un sorriso. Ormai è protagonista di questa piccola scena, i suoi amici, io seduto al tavolino, nel sangue circolano giocosi i ricordi di gioventù. <<Sono stato paracadutista della Folgore. Uhà! Sono fiero! L’ho detto a mia moglie: quando muoio, sulla bara mi deve mettere la bandiera della Folgore. E il tricolore. Il tricolore della Repubblica di Salò!>> Il petto è gonfio al massimo, così la pancia che sul corpo basso fa il suo effetto botte. Mi accorgo che è stempiato, pochi capelli, porta gli occhiali e ha le rughe. Ha molti anni, più di me. Di un altro tempo, prima del mio. L’onda che mi ha fatto sorridere ha terminato il suo effetto. Penso “ai giovani che sbagliarono parte”. Succede. Ma chi lo ha stabilito che quei giovani la pensino così. Pacificazione è il sogno dei profeti e di quelli del poi. Ma di quelli del mentre il ricordo fa bollire il sangue di fierezza, di ardore. Di rivendicazione. <<Mo’ l’avete preso in quel posto. Che povera femmena quella –Sernacchiana->> Ne storpia il nome senza intenzione, proprio non se lo ricorda come si chiama. Si capisce che gli sembra solo un nome buffo, che si presta ad essere citato con disprezzo. <<Come è che ha detto?! Le donne un passo indietro?... Come ha detto la Meloni?!...>> Qui inciampica con le parole, sembra in imbarazzo, pare faccia fatica a dirlo, mima il gesto che lo stesso “signor Presidente del Consiglio” ha espresso mentre le pronunciava: <<Le sembra che stia un passo dietro agli uomini?>>. Ormai è sodisfatto, ed a me pare stanco, forse l’eccesso di emozione. <<Questa è la Democrazia. Mo’ v’avite sta’ sulo zitte. Mo’ a cummanname nuje, e va facimme abberè>>. C’è una pausa, anche nella mia testa. Sto mettendo a fuoco tutte le parole, il senso, quello che mi appiaono, la prospettiva di pensiero che offrono. <<Va bene, ora vado via, statemi bene>>. Ci ho pensato dopo, non ha fatto nessun saluto romano. Ci sono cose che appartengono più al folclore che allo spirito delle cose. Perché la Politica è Spirito, per questo ha il potere enorme di muovere la Storia.  E nella sostanza rende le persone diverse. A sinistra nessuno penserebbe “ora fate silenzio”? La democrazia è continua composizione del conflitto. Chiunque ne capisce, sa che le elezioni non si perdono e non si vincono, quelle espressioni sono solo propaganda. Una opposizione “in silenzio” è espressione di un paese che opprime una parte che lo compone. L’idea di governare in Democrazia non prevede “lezioni” alle opposizioni. Non c’è dubbio, le differenze ci sono. Soprattutto per quella veste di comunismo che come un tutta per matti da legare si vuole far indossare a chi pensa il mondo da sinistra. Per questo non commetto l’errore identico di mettere il fez in testa a tutti quelli che ragionano a destra. Quante volte ho ragionato con chi militava nel MSI, con distinzione nella visone, ma con lo stesso ardore e devozione per il sociale, per la gente, per il consorzio comunitario di una città, di un paese, di un popolo. Non c’è dubbio che l’onorevole signor Presidente del Consiglio dovrà ribadire agli ardenti di un’epoca sconfitta dalla Storia e dai valori della Democrazia, che solo a quest’ultima si può ispirare per governare il paese reale. Ed alla Costituzione che da quella  vittoria è stata redatta. I gesti politici che compirà per mostrare simbolicamente la differenza, saranno necessari a dimostrare il cambio di spartito. Ma ci saranno grandi temi dove la visione del futuro di chi governa dovrà trattare fino in fondo con i rappresentanti dei quella parte del paese che hanno un’altra prospettiva, un’altra visione. Questa è la via maestra per restare nella traiettoria della Democrazia. Al di fuori di essa di essa vi sono derive intollerabili, curve paraboliche verso fantasmi del passato che hanno prodotto solo orrore. Chissà cosa farà veramente Giorgia Meloni? Chissà se è veramente “un passo avanti agli uomini” per governarli, o è solo un paravento per un destra degli affari, del potere, dell’assoggettamento. Ricordo il ventennio. Non quello della prima parte del Novecento. Quello della fine, quello dei governi Berlusconi. Quanta tristezza, quanti guasti, quanti amari frutti.

Non ho più voglia di leggere, i miei pensieri mi hanno portato via energie. Il desiderio di fare e la frustrazione di non sapere più cosa, mi deprime. La consapevolezza che la gente è stretta nella morsa delle bollette e non ha il cuore libero, mi sottopone una lucida e diafana evidenza. Mentre la Storia ancora cammina, non vedo più lo Spirito della Politica che l’ha animata, ridotto come è ad una larva poltergheist, rumorosa e inconsistente. Che fa più danni al presente che costruzione di futuro. “Spengo” il mio libro, un gesto della modernità e chiudo il mio taccuino per gli appunti, un gesto del passato. Pago il prezzo popolare del mio thè, mi avvio per la strada popolosa del quartiere antico. Tra banchetti di pesce, di mozzarelle, vestiari e cianfrusaglie si confondono i miei pensieri, mescolandosi ai rumori. Siamo nel futuro… ed ancora non ci appartiene. L’ultima preposizione di un’inattesa riflessione. 

martedì 15 febbraio 2022

 Ci sono film che vai a vedere solo perché capita, in modo imprevisto. Comed andare all’Astra dopo tanti anni. Dagli anni di quella gioventù che voleva ancora cambiare il mondo. Quella di oggi non sembra, forse gli andrà meglio, chissà? Siedo tra loro,  per il film di una saga familiare, così viene presentato Walchensee Forever, docufilm di Janna Ji Wonders, che nella vita è anche cantante. Come ogni film quando lo vedi scopri che non può essere contenuto in una definizione. C’è una donna, che fa da cerniera nella storia. Quindi una figura forte ed invisibile. Chi di noi di un capo di abbigliamento ha mai espresso un apprezzamento per una cerniera. Eppure provate a farne a meno. Se non funziona, non si può indossare niente. Forte, tanto da arrivare a 104, acciaccata, ma lucida. No, non è la sua storia. Sta li, sul lago Walchensee da piccola, ed eredita l’attività di famiglia per obbedienza, all’epoca si obbediva al padre, in questa unica definizione viene racchiusa tutta la sua vita dietro ai fornelli del ristorante. Si vede anche la madre, forte e fiera è il cameo didascalico che la presenta. Ossuta, nervosa, sempre ben vestita anche durante il lavoro di cuoca. Nei filmati di famiglia mostra un sorriso deciso e decisamente non ama essere toccata, quando si avvicinano per abbracciarla e mettersi in posa, scaccia via. Lo fa due volte, in momenti diversi. No, non è nemmeno la sua storia.  La vita di Frauke e in parte della sorella Anna, che delle due sono filglie e nipote, di queste si racconta la storia. Figlie di una cuoca forte, ma rassegnata e di un fotografo creativo, ma addolorato, che ha fatto la guerra, la seconda grande, come il dolore che ha lasciato. Un dolore che si passa in eredità. In questo schema di famiglia tutto sommato fin qui ordinaria e ordinata, le sorelle Werner si mettono in viaggio. I viaggi si prestano ad essere raccontati. Dalla Germania al Messico, le due scoprono lo sciamanesimo, la spiritualità, i gruppi che cercano una via per uscire dal dolore ereditato e praticano la vita in comune. La droga lo ricordiamo tutti faceva parte del percorso di ricerca e la usano anche Frauke ed Anna. Ma è ora che ce ne rendiamo conto, quella non fu una generazione di drogati dissipatori. Fu una generazione che provoò sulla propria pelle tutto quanto era necessario per trovare un'altra strada dell'esistenza. Tutti i capitoli della storia li racconta Anna alla figlia Janna, che la intervista filmandola seduta  sul divano di casa. E sul filo del racconto passano le immagini da foto e filmati di famiglia. Un lavoro di montaggio ben fatto. C’è anche la foto dello schianto, una foto di giornale. Fu così che morì Frauke. Schizofrenica, passata per il manicomio. Succede quando senti dentro una vita che vuole trabordare, espandersi, anzi trascendere. Succede quando in te senti un’innocenza, una sete di libertà, uno spirito leggero che non può restare attaccato al corpo. Succede quando cerchi di continuo e non vuoi arrenderti all'uniformità, alla rassegnazione. Magari sei tanto forte da arrivare a 104 e fai tanta tenerezza. Magari senza di te non ci sarebbe stato un'altra generazione. Ma la tua vita resta tutta in "obbedì al padre" e si rassegnò. Adamo ed Eva non esercitarono questa opzione. E della loro scelta di libertà la Chiesa dice "felice colpa che ci ha meritato un si grande Redentore". Difficile da comprendere, come la vita stessa lo è, per questo bisogna andare per tornare. Nei loro spostamenti nel mondo le due donne incotrano anche Rainer Langhans, regista e lo scrittore, che le introduce alla meditazione e alla spiritualià indiana. Ecco la vera trama di questo bel film, una storia di donne che hanno cercato lo spirito della vita. Ciascuna con gli strumenti del proprio tempo. La fiera nonna, in ghingheri anche dietro ai fornelli. La forte mamma, obbediente e rassegnata. Frauke ed Anna, di una generazione che eredita il dolore da chi lo ha vissuto e cerca una via di consapevolezza e libertà per viverla pienamente.  Anna piange mentre racconta. Non è solo la commozione del ricordo, esprime la sofferenza di chi ancora cerca. Di chi testimonia che tutta la vita serve a questo, nessun tempo sarà mai di pace in questa ricerca. “Come è difficile” pronuncia raccogliendo le lacrime di chi non ha mai smesso di cercare. Mamma e figlia accudiscono la nonna di 104 anni, la “oma”, come sento pronunciare, il film è infatti in lingua sottotitolato. L’ho detto, è il film che ti capita di vedere, ma scopri che è il film che aspettavi di vedere. Perché mi ci ritrovo. Ritrovo i percorsi, gli inciampi, i dolori, le esperienze. Ritrovo la nonna anziana che si consuma facendosi piccina. Le tre siedono su una panchina di fronte al lago, la “oma” è al centro,  tra le sue discendenti bavaresi, piccina piccina di una poetica tenerezza. Questa scena è cristallizzata nella locandina del film. Le tre generazioni e la quarta evocata, stanno li a condividere i loro percorsi esistenziali. Quello di Janna è la regia e la musica. Contemporaneo. Forse la via più facile e borghese o forse la più complessa e ricca di possibilità di linguaggio per esplorare la consapevolezza, chissà? Di certo il film, il racconto mi ricorda che c’è al mondo un patrimonio di esperienza sulla ricerca di senso, di ciò che non funziona e di ciò che va ancora ben esplorato. Andare in India per esempio, è marginale. Ricercare una pratica che ti centri va perseguito essenzialmente. Le droghe fanno certamente male. La sobrietà della vita fa certamente bene. E così via. Così andare per non andare da nessuna parte è cosa diversa da restare per andare ovunque. Mi pare che per sempre Wallchensee suoni quasi come un’intenzione, un proposito, una risoluta convinzione. Mi ha fatto sentire normale. E mi ha fatto ricordare un detto.  La vita è come un albero, più affondano le sue radici, più alta si fa la sua chioma.

                                                                                        Arturo Lania

 

lunedì 31 gennaio 2022

 Napoli è una città di attori e di cantanti, si sa. Quando ci si alza in piedi ad applaudirli significa che sono bravi, davvero. Così è successo con Tonino Taiuti e Lino Musella alla fine dello spettacolo Play Duett. Per i più tecnici il genere è Jazz Session, insomma c’è anche una chitarra ed un’atmosfera jazz. Dentro la quale si muove un’energia di parole sapientemente governata dai due attori, che appunto giocano. Testi che vengono dal passato, quelli di Giovambattista Basile, di cui a breve si celebreranno gli anniversari di nascita e morte. Altri più contemporanei, i testi di Martone, intrecciandosi con altri di Petito, Viviani, Jacobelli e come detto con le vibrazioni jazz di una chitarra in sottofondo. Le voci appositamente gracchianti di Lino Musella, che si rimodulano in continuazione, dando vita breve, ritmica a personaggi diversi, narranti che giocano con figura apparentemente unica di Tonino Taiuti. Ma il suo personaggio si muove, attraversa la platea, esce di scena, vi ritorna, canta, recita, si rattrista, fa il comico. “ _Due nastri parlano tra loro. Di tragedie? Di vita dei giorni *nastri*_ “. Nessuno scroscio di risata, qualcosa di molto più da teatro, un flusso di piacere giocoso che si inocula nello spettare già incantato dalle parole, dalle voci, dall’atmosfera. Un lavoro, serio, costruito con maestria, che sintonizza gradualmente il divertimento del pubblico sul piacere di partecipare al teatro vero, dove la scrittura è significativa e l’interpretazione è arte. Sono attori come tanti Taiuti e Musella, ma tanto bravi che il pubblico contento li omaggia con un’ovazione di applausi. I due escono di scena passando tra gli applausi, colgo nel loro volto la soddisfazione profonda di chi sa di aver fatto bene il suo mestiere.