domenica 3 novembre 2019

Ho visto Joker e Meraviglia


Ho visto Joker e Meraviglia

Ho visto Joker, si lo hanno visto tutti. Insomma, quelli a cui piace il genere. Questi film che tu dopo pensi un sacco di cose e quindi ti piace aver pensato. Volevo scrivere qualcosa, il protagonista si chiama Arthur Fleck, senza offesa per i Fleck, ma l’omonimia col mio nome è intrigante, anche io mi chiamo Arturo. Dicono che non sia un bel nome, sciocchini, è bellino, attenti a voi comunque. Il film è il mondo visto con gli occhi del matto, si Arthur è matto, per via di certi maltrattamenti subiti da bambino. Lui non ne ha memoria, ma la sua mente alterata ne è la conseguenza. Crede di aver una missione nella vita, portare la gioia al mondo. La storia è nota, Joker, Arthur Fleck, ha una risata spasmodica che è un sintomo del suo disturbo, per cui ride anche fuori luogo, in un modo che non è divertente. Ridere e mettere tristezza è peggio di una malattia è una tragedia, greca. Eppure la sua grande consapevolezza è che la sua vita non è una tragedia, ma una commedia. Squallida. Per renderla tragica, allora ci vogliono un poco di morti ed un’insurrezione popolare che mette la città di Gotham a ferro e fuoco. Su queste basi avrei potuto scrivere un bel po’ di cose, ma che cavolo, le avevano già scritte altri! Insomma la rete è zeppa di recensioni dotte, che sviluppano ogni aspetto di quello che il film propone. Quindi non c’era altro da fare che rinunciare, con dispiacere ovviamente. Poi che succede? Mi imbatto in un altro clown, in un altro pagliaccio, in un altro comico, che impersona Arturo Meraviglia. Un altro omonimo. Un segno evidente del destino. Prima di tutto alla faccia di quelli che non amano il mio nome, vedete se col vostro ci fanno ben due film? Eppoi perché qualunque cosa scriva, che li associ, sarà originale.  Joaquin Phoenix per il suo “Joker”, Arthur Fleck, quasi certamente sarà canditato all’Oscar. Alessandro Siani per il suo Arturo Meraviglia no, ma la botteghino si prevede una bella soddisfazione con il suo “Il giorno più bello del mondo”. Si sa i soldi non sono tutto, dopo che li hai incassati. L’Arturo Meraviglia è proprio un bel tipo. Sfigato, altrimenti non farebbe ridere, ma con la bella storia di sognatore. Il papà possedeva un teatro, e “gli artigiani della gioia” divertivano il pubblico con la loro arte circense. Le cose cambiano, i papà muoiono, i teatri accumulano debiti. Tristezza hai voglia, ma non per Arturo, che nel cuore ha quel papà che gli ha consegnato la prospettiva permanente del sogno. Oh, questa è facile. Un bambino che non fa ridere nemmeno quando ride, da piccolo ha subito violenze. Un bambino che nonostante una fila di debitori lunga chilometri ed una vita di fallimenti in sequenza, mette una allegria nel cuore, che si trasforma in gioia per tutte le cose che dice, che fa, che gli capitano. Questa è secondo me potente. Uno ha avuto un padre che gli ha consegnato un sogno, Arturo Meraviglia. Arthur Fleck, l’altro,  ha avuto una madre che lo ha esposto da piccolissimo a sevizie e abusi sessuali. Nella sua follia convince il figlio di avere come missione, far felice il mondo con la comicità. Il matto finirà per farne fuori parecchi. Il papà consegna ad Arturo Meraviglia la stessa prospettiva esistenziale, la stessa missione, essere artigiano di gioia. Glie la  affida con un grande abbraccio iniziale. A cui farà eco una spettacolare “buona notte” di bambini felici nel gran finale. Che differenza può fare un padre. Aggiungo. Cosa sognano poi i veri bambini protagonisti del film di Siani? Una famiglia, con mamma e papà che li tengono nel centro. La gioia è contagiosa, come la tristezza e l’odio. Arthur Fleck, matto, assassino, fa bruciare una città in rivolta. Arturo Meraviglia cambia il destino di due orfani, contagia di allegria e gioia amici e pubblico. Eppure vive in un teatro fatiscente, affoga nei  debiti, la luce la prende attaccandosi ai cavi di un semaforo, pertanto è intermittente, l’acqua dai tubi di una signora che non si lava spesso, fintanto che non apre l’acqua nei tubi non scorre. Antiborghese per eccellenza. Jocker, fa il clown, una cosa miserabile, si occupa della madre, una cosa nobile, fintanto non scopre la verità del suo passato, fa il cabaret, incontra una donna che potrebbe corteggiare, lo chiamano persino in TV nel Talk Show dei suoi sogni. Ma nella sua testa c’è una musica metallica, alienante, troppo triste da sopportare.  Facile dire la felicità te la da la famiglia, infatti non l’ho detto. La famiglia ti può distruggere e consegnare al mondo un killer senza sentimenti, nemmeno di odio, pura forza omicida. Oppure ti può donare un cuore talmente gioioso da consegnare al mondo un “artigiano di gioia”. Joker e Meraviglia. Arturo, da Napoli, che ha gli occhi che gli brillano di luce, e che fa ridere anche serio. Arthur, da Gotham, che non trova mai pace, non trova mai il padre, non riesce a  dare gioia a nessuno nemmeno quando ride. A tutti, pare, è piaciuto Joker, c’è da chiedersi come mai? Dal botteghino sembra proprio che anche Meraviglia, Il giorno più bello del mondo, stia piacendo. Come mai? Facile, mette gioia, contagiosa. Speranza, contagiosa. Senso di comunità, contagioso. Paternità.
Il Cinema racconta storie. Con le sue storie possiamo anche leggere il mondo. Tra Arthur e Arturo c’è un mondo di differenza, si chiama padre. Per chi volesse, c’è ancora tanto da scrivere.
                                                                                                                                Arturo Lanìa