sabato 21 ottobre 2017

Gianni De Angelis

                         Ciao caro amico,

come stai? Ho qualcosa da raccontarti. In questo momento ho proprio bisogno di un amico a cui scrivere. Sono un solitario dalla nascita. Conosco tante persone, ma non un amico a cui scrivere questo impasto di sentimenti ed emozioni che ho sul cuore. Posso scrivere nel mio diario, ma il bisogno di scrittura è premessa di condivisione. Scrivo quindi all’amico che vorrei avere. Ho messo il naso contro il vetro. Avrei voluto attraversarlo e raggiungere Gianni, arrivare al suo letto di ospedale, nella sua stanza in rianimazione. Gianni De Angelis, nella vita ha portato avanti la famiglia lavorando come informatore farmaceutico, anche se per via della sua laurea lui si è sempre presentato come farmacista. Sinceramente, quel mestiere lo proposero anche a me, risposi grazie no. Il mio carattere è quello che è. Mi ancora, dico bene così, a Gianni De Angelis un “ricordo base”. Il Signore mi ha chiamato a conversione dal mio ateismo nel millenocentonovantacinque. Ha usato uno strumento che si chiama Cammino Neocatecumenale, che da inizio ad ogni anno liturgico con un ritiro che si chiama “Convivenza di inizio corso”. Correva l’ottobre millenovecentonovantasei, in un posto dove c’era la neve, era gli ultimi anni delle quattro stagioni, Gianni De Angelis era il capo equipe che portava avanti quella convivenza, così chiama il Cammino i momenti di ritiro. Consegnò al mio cuore delle parole bibliche: - Cercai l’amore dell’anima mia, /lo cercai senza trovarlo / trovai l’amore dell’anima mia, /l’ho abbracciato e non lo lascerò mai! – Con queste parole Kiko Argüello, fondatore del Cammino Neocatecumenale,  musicò un brano del Cantico dei Cantici. Parole misteriose, che oggi mi portano a cercare la spiritualità del Carmelo. Poi l’annuncio kerigmatico: “Caritas Christi urget nos”, con il suo finale carico di patos, quella postilla alla fine di un contratto che offre una grande avventura: “Guai a me se non annunciassi il Vangelo”. La musica arricchì queste parole di una carica spirituale, di uno slancio e di un entusiasmo che mi avrebbero poi portato in seminario. Solo che la mia avventura è stata oggettivamente un disastro. La storia di don Maurizio Pallù, che in seminario entrò nel millenovecentottantotto,  la voce della sua testimonianza, missionario in Nigeria, rapito due volte in un anno, mi hanno impressionato molto. Abbastanza per capire che di fatto ho assecondato una certa pusillanimità. Sulle parole che mi consegnò Gianni De Angelis avrei potuto fondare tutta la mia vita. Parole testata d’angolo, così ingombranti che mai hanno permesso si potesse costruire altro su di loro. Ancora oggi mi interpellano. Grato per averle ricevute, tutt’ora nel duemiladiciassette. Ventidue anni dopo, grato ad un altro essere umano per delle parole. Nemmeno sue, bibliche. Guardo attraverso il vetro vedo la sua famiglia, ed il mio pensiero va al figlio che si sta precipitando da Milano. Osservo il gruppo della elite dei suoi amici, un medico, un dirigente regionale, un direttore sanitario, sono quelli che hanno potuto passare la “dogana” delle guardie giurate. Gianni De Angelis è ricoverato per una terribile caduta, a seguito della quale ha un ematoma di sette millimetri e fratture multiple, il cui elenco da i brividi come un film horror. Da ragazzino frequentò la parrocchia, poi il suo parroco, don Antonio Rotondo, buon anima, lo introdusse nel Cammino Neocatecumenale, correva l’anno millenocentosettantotto. Una novità pastorale, dal sapore elitario, che insieme ad altri ha governato fino ad oggi. In una parola, si può ben dire, oltre a lavorare, ha passato tutta la vita ad evangelizzare. Come si trova in questo dramma? Alle quindici e quindici ha fatto circolare tramite Wathsapp un video da –Bel Tempo si spera- di Tv 2000, con l’intervista ad Antonio Balestrieri il marito di Lina Cutaneo, la sorella del Cammino Neocatecumenale, rimasta vittima del terremoto di Ischia. Una profezia ed una chiave per leggere la storia. “Guai a me se non annunciassi il Vangelo”. Guardo oltre il vetro che mi separa dall’anticamera della sala di rianimazione. Due settimane prima sono entrato nel reparto di terapia intensiva da don Antonio Carbone, vittima di un incidente stradale. Pochi giorni prima è salito al cielo. Tenevo Gianni aggiornato di ogni cambiamento, chiedendogli preghiere. La sera precedente, in una liturgia comunitaria, ha pregato proprio per l’anima di don Antonio Carbone. Vorrei passare quel vetro, attraversare i suoi amici di tutta la vita, attraversare persino la sua famiglia e raggiungerlo al suo letto. Vorrei, come ho fatto con don Antonio, infilargli un’immagine della Madonna che Scioglie i Nodi, tanto cara a Papa Francesco, sotto il suo cuscino. In mezzo a quei suoi amici, che si conoscono da tutta la vita, non sono nessuno. Ho solo tanta gratitudine nel cuore, per delle parole. Solo per delle parole, di ventidue anni fa. Tra me e quel letto c’è troppa gente. Amici di una vita, professionisti, farmi strada li in mezzo è difficile. Stacco finalmente il naso dal vetro. Guardo al cielo. Tu solo Signore sai bene con quanta pochezza ho trattato il tuo annuncio. Mi trema il labbro se penso che ancora mi rivolgo a te. Dopo tanti anni rimango uno spudorato. Volevo essere prete e missionario per le parole che mi consegnò Gianni. Né la prima intenzione né la seconda mi è riuscita di realizzare. Ho sbagliato,  ne pago le conseguenze. Ma su quelle parole ho indirizzato tutta la mia storia e con esse morirò, in un modo o in un altro. Pertanto, per avermi guadagnato a te, ti prego per Gianni De Angelis, che già con un nome così, hai stabilito per lui un programma. Ti chiedo di abbracciare lui, la moglie Cristina, i suoi figli, che ha messo al mondo per amore tuo. Ti prego dal profondo del cuore, e Tu sai bene come sia capace di essere riconoscente. Nella sua vita avrà fatto migliaia di elemosine, ma credo che nessuno dei beneficiati lo ricordi. Per quelle parole, nemmeno sue, che mai avevo sentito prima, lo benedico dal profondo del cuore. Accetta Signore mio, questa gratitudine come una preghiera. Concedile di salire a te come incenso. Abbraccialo a te. Abbraccia a te la sua famiglia. Abbracciali tutti Gesù, per aver fatto conoscere il tuo nome tra le genti. Te lo chiedo con il cuore colmo di gratitudine. Sia per te incenso profumato.
Ecco, se avessi un amico a cui scrivere, gli invierei questa lettera. Allora Gesù, posso scriverla a te?

                                                                                                                          Arturo Lania


giovedì 5 ottobre 2017

Ammore e malavita

Ammore e malavita

Ho scritto questa riflessione per una mia amica e mi fa piacere farne una condivisione.

Ieri sono andato al cinema a vedere un bel film: _Ammore e Malavita_. Uno spettacolo gustoso e divertente: una commedia _noir_ ben riuscita. Nel finale i due killer, amici fraterni, Ciro e Rosario, che si sono trovati nell’intreccio della storia su fronti contrapposti, si affrontano nel duello finale. Che è fatto di parole e di canzone, anche se alla fine uno dei due muore. La scena è veramente stupenda. Rosario rivendica il diritto a vendicarsi: amici morti che gli premono sulla coscienza, patto di lealtà col boss, si sente ferito da Ciro che ha tradito il clan “ _pe’ l’ammore ‘e ‘na femmena_ ”. Ciro, killer freddo e altrettanto spietato di Rosario, rivede la sua storia. Orfano di padre, ucciso da malavitosi. Adolescente, trova una famiglia nel clan che lo addestra a uccidere, per difendere il boss. All’amico Rosario ricorda: << _i morti sono morti_ >>. Quelli che lui chiama amici, hanno vissuto la vita che si erano scelti, una vita schifosa con un finale schifoso. Loro due, invece hanno l’opportunità di essere liberi da quelle catene. Con il canto, dice in una strofa: “ _‘Stu viento tene ‘o sapore da’ libertà_ ” Ed a questo punto fa un ragionamento che mi resterà impresso per sempre. Cito a memoria: << Per chi vuoi morire? Per chi vale la pena morire? Per un boss che ti ha sempre mandato a morire per i comodi suoi? Ne vale la pena?>>. Più o meno aggiunge: <<L’amore è l’unica ricchezza vera per cui vale la pena vivere>>. Si tratta di una commedia, la retorica serve un poco a ridere, un poco alle emozioni, un poco anche a far finta di pensare. Però le parole sono sollecitazioni e mi è venuto in mente *monsignor Bruno Forte* : << _Io ripeto spesso un proverbio napoletano che dice così: "Se po’ campà’ senza sapé’ pecché, ma nun se po’ canpà’ senza sapé’ pe’ chi", che significa: "Si può vivere senza sapere perché, ma non si può vivere senza sapere per chi_ >>.  Così quella scena finale del bel film, è un cameo della memoria. Buttare la vita senza sapere per chi morire, avere qualcuno per cui morire. Ciro ha rischiato tutto per amore. Il riscatto esistenziale, non un amore qualunque, ma un amore per cui essere disposti a morire. “ _Con il vento che porta il sapore della libertà_ .” Il vento non è forse segno dello Spirito? Nel film forse tutto questo non c’è, o forse sì. Gli autori mettono nelle storie i segni delle proprie esperienze. Incredibile il numero di personale dello spettacolo, dagli artisti, agli autori, ad altre figure, che si sono formate negli oratori ed è in quelle esperienze che hanno trovato la loro vocazione. Pertanto che scherzando, scherzando, i  Manetti Bros,  Marco e Antonio,  abbiamo messo lì, nel loro copione,  qualche battuta che echeggia chissà il catechismo, oppure nemmeno gli sia passato per la mente, per ora non posso saperlo. Ma di certo la scena tra Ciro e Rosario lascia spazio a questa riflessione. Fissa, ridendo, ridendo, questo concetto, *vale la pena vivere se si ha un amore per cui morire* . Per me cattolico, pensare a Gesù, a tutti quelli che per Lui danno la vita nell’evangelizazione, nella testimonianza, nella preghiera, nel martirio, mi viene naturale. Per dire cosa? Per dire che questa vita cristiana offre davvero tutto quello che l’uomo cerca nel profondo del suo cuore. Anche in film per ridere: ridendo, ridendo il cuore può aprirsi a preziose verità.
                                                              Arturo Lanìa