venerdì 10 marzo 2017

Lasciate stare le vecchiette

Dovete sapere che da giovane ero ateo. Forse non può fregar de meno, ma la vita è fatta anche di queste storie. Lo sono stato fino ai ventotto o forse dovrei dire ventinove anni.  Più che una crisi mistica è stato il residuo di averle provate tutte. Studi tecnici per la fiducia nella tecnologia, studi economici per la convinzione che il progresso passasse per quella strada, esperienza politica per la certezza che da lì si partecipasse al “destino del mondo”. Per non parlare del resto. D’altronde è meglio stendere un velo. Le solite cose, il sesso, i soldi, diciamo il potere, inteso come ricerca di un prestigio per essere rispettato da tutti. Fatto tutto questo e non avendo trovando un cippa di senso, sono finito, senza programmarlo, nella chiesa. Intendo che entrai in una parrocchietta, così, per caso. Ora avete presente quelle storie di conversione che popolano la TV, grandi cambiamenti interiori, che si riflettono in tutto quello che fai, da cui nasce un cammino di vita così differente? Mettete queste belle storie accanto alla storia dei santi come ce le raccontano, poi vi spiego il motivo per cui dico così, e vi viene da dire che belle storie! Anche un bel sospiro, da tono all’esclamazione. Però nel fondo del cuore l’idea che è un poco una palla, nel senso di fesseria, esagerazione artefatta per fare colpo, passa. Bene, la mia storia di conversione a quelle lì non assomiglia manco per niente. Per le altre storie non so. Ma per i santi, ebbene, ho cominciato a leggerle. Ho scoperto che tutto quello che si dice di loro è solo il buono, pulito e truccato, di tutta un’esistenza passata a cercare Dio. Del resto si tace. Del cammino fatto di fossi, strade allagate, inversioni di marcia, sbagli di strada. Un poco come guidare a Napoli. Chi non ha mai fatto l’esperienza difficile possa capire. Un cammino fatto di tanta quotidianità. Praticamente, più simile alla mia storia. Insomma alle storie della TV, la mia vita non assomiglia. In quelle storie vere dei cercatori di Dio, diciamo mi è più facile trovare ispirazione. Soprattutto in quanto la mia vita è cambiata sicuramente, ma  usando un metro comune, è peggiorata. Questo nella storia vera dei santi si trova. Per esempio, guardando al reddito. Nessuna lamentela, al contrario, la scommessa ha previsto una partita ancora in essere che non cambierei mai. La curiosa quotidianità, mi ha stupito. Ed ecco che entrano in campo le “vecchiette”. Una figura di fedele parrocchiale che ai sacerdoti, in particolare quelli giovani, piace tanto dileggiare. Dal lontano millenocentonovantacinque, in  ottobre, mese di castagne, quando per la prima volta rimisi piede in una chiesa, sono state il bersaglio preferito della satira contro la pratica religiosa da cui distinguersi. “Le vecchiette credono di salvarsi con il Rosario”, “La fede delle vecchiette”, “La pratica delle vecchiette”, “Come le vecchiette”. Ci sono altre frasi che ho collezionato in questi anni, coniate per ridicolizzare le signore d’età che praticano le parrocchie, ma queste bastano a raccontare. Un frase bellissima che i sacerdoti amano dire, “Chi ve lo ha detto?”, “Dove lo avete imparato?”, quando vogliono intendere che certe pratiche religiose sono senza senso. Come tutti sanno il prete che parla dall’altare mica lo puoi contraddire. Se no risponderei per loro, <<le hanno insegnate i preti come te>>. Se credete che si possa andare in sacrestia a contraddirli vuol dire che i preti non li conoscete. Ma scrivere qualcosa per dire quanto siano state per me necessarie le vecchiette con il Rosario, un bacio alla tecnologia, oggi lo posso fare in modo pubblico. Forse nessuno lo leggerà, ma almeno è pubblico. Ebbene, riprendendo il filo della conversione, le cose non sono andate affatto come speravo. Anzi le vicende personali si ingarbugliarono alquanto. Diciamo tutta la verità, presi un colpo esistenziale che se fossi stato in mare sarebbe stato un’onda improvvisa che fa capovolgere la barca. Da annegare, credetemi. I sacerdoti, li ha scelti il Signore Gesù, che come si sa è maestro, nello scegliere le persone in modo strano. Per cui da quei tipi strani non è venuto un grande aiuto in quel momento. Ma dove va un cercatore di Dio che ha preso una sbandata di fiducia sulla vita e il suo senso? Nel deserto a ritrovare se stesso! Questo però nelle storie della TV. Dato che sono un cittadino, il deserto, almeno all’epoca, nemmeno sapevo dove cercarlo, mi limitai a rifugiarmi in una chiesa, prossimo all’Eucaristia. Ora, come pensate che sia possibile avere una messa ogni giorno senza le pie anziane signore che vi partecipano? Impossibile. Già solo per questo, le benedico tutte. Avevo un grande bisogno di un rapporto sensibile col mio Signore, che non vedevo più, che mi sembrava smarrito. La Parola della Liturgia e le Sante specie mi permisero di percepirlo, di sentire una sua presenza sensibile, seppur silenziosa. E come si fa a parlare con Dio quando non hai più le parole? Con il Rosario. Indovinate chi ogni giorno anima la bella preghiera mariana nelle parrocchie? Le vecchiette. E fin qui, siamo nell’aspetto tutto religioso. Sapete come funziona, se vai a messa tutti i giorni, specialmente se sei giovane, il prete manco ti fila. Anzi magari pensa che sei uno strano, che è meglio evitare. Invece le care vecchiette fanno comunità.  E si sa, sono più che mamme, sono nonne. Così in quel momento di solitudine, dura solitudine, chi mi ritrovai vicino? Indovinato, le vecchiette. Mettete il loro calore materno, per questo giovanotto che abbassava un poco la media dell’età, e la preghiera del Rosario per la Mamma Celeste, ne viene fuori una bella miscela. Per dirla semplice, mi tornò il desiderio di alzare gli occhi al cielo. Quel calore umano era la possibilità più prossima di ritovare un senso in quella frase della conversione: “Dio ti ama”. Per non dire del fatto che alle care donne di età, se le tratti come persone, ti raccontano le loro storie. Fatte di passioni, sogni, difficoltà, sofferenze. Attraversate con quelle pratiche religiose ormai demodé, ma così cariche di senso in anni dove la vita era tanto dura. Così l’età che avvolge i corpi spesso piegati, appoggiati ad un bastone o al braccio di un’accompagnatrice, l’età che ha portato alle ossa scricchiolii e bruciori, che ha piegato la pelle in mille rughe, resi più incerti gli occhi, quell’età che le fa entrare in una categoria che chissà da quando a forza si vuole considerare marginale, quell’età lì, ho scoperto essere lo spazio di tempo per la più feconda espressione di umanità. Non sono in grado di dimostrarlo con una statistica, ma le persone che da piccoli sono cresciute con i nonni, da adulte sono stabile e consapevoli  con un sincero rispetto del prossimo.  Per quanto mi riguarda, quelle “vecchiette”, i loro rosarii, la possibilità di celebrare l’Eucaristia, l’affettuosa vicinanza, per non dire l’edificante saggezza delle loro storie di vita, sono state il ponte che mi ha riportato sul cammino della fede, dalla sponda dello smarrimento. Dopo anni, conservo nel cuore un senso di profonda gratitudine e sono convinto che il Signore Gesù le benedirà per il bene che ho ricevuto. Ai sacerdoti, che in genere che ne sottovalutano l’importanza, mi permetto di dire le vostre omelie sono dei veri e propri sonniferi, ma dove avete studiato? E quando parlate, mi sia consentito scrivere, lasciate stare le vecchiette, hanno salvato la mia fede. Grazie care nonne, il Signore vi benedica.
                                                                                         Arturo Lanìa 

martedì 7 marzo 2017

Gli alberi di Nonno Gaetano
Dico sempre che passeggiare fa bene. Anche alla mente. Certo il moto, ma mi riferisco soprattutto alle persone che si incontrano in cammino, alle conversazioni che si fanno. In genere passeggio con alcuni amici, tra cui il buon Gaetano. Ha nel sangue sane origini cilentane, da un suo parente mi arriva a Natale un vino speciale. Questo particolare dna lo rende attento a questioni di saggezza, si sa i paesani sono più saggi,  che gli meritano l’appellativo di Nonno Gaetano. Il suo incipit nel raccontare le cose è: <<Lo so, lo so, solo che non mi ricordo>>. Effettivamente se deve elencare nomi o date proprio non gli riesce. Ma in quanto a racconti saggi, gli riesce bene, anche senza accorgersene. Domenica mi ha parlato degli alberi che costeggiano la strada che lo porta al lavoro, nell’area del nolano. Dal lato che fanno una teoria di rami lungo lo scorrimento delle auto, gli alberi hanno piegato le loro appendici a modo di gomito. Un fatto impressionante, che testimonia la particolare intelligenza di queste emergenze vegetali. A tal proposito gli è venuto in mente un documentario, <<L’ho visto, ma non mi ricordo dove, né come si chiama il professore che spiegava>>, sull’intelligenza degli alberi. Pare che l’anonimo scienziato spiegò che gli alberi “pensano”, in quanto sono in grado di attuare strategie per far fronte alle insidie del clima, alle asprezze del terreno, agli assalti degli animali. Addirittura fanno fronte comune contro i parassiti. Insomma, il documentarista concludeva “gli alberi affrontano le più dure battaglie restando fermi”. Da sola questa frase regge un’intera filosofia di vita, di ispirazione zen. Infatti, mentre Nonno Gaetano raccontava, la memoria mi è andata indietro ad un’altra storia, che imparai molti, ma davvero molti anni fa. Da adolescente ho fatto come sport le arti marziali. Mi sarebbe piaciuto fare salti volanti, spaccare tavolette, acquisire lo sguardo da falco, ma in verità oltre a tenermi in forma ero davvero una schiappa. Proprio l’idea di usare la forza contro qualcuno, mi è sempre riuscita difficile. In compenso, imparai questa storia. Una sera, avevano esposto in palestra un cartellone bristol, su cui, chissà chi, si era divertito a raccogliere figure e racconti di saggezza orientale. Nella storia, si racconta di un famoso maestro allevatore di galli da combattimento e del suo apprendista. Un giorno i due vanno al mercato dei bellicosi gallinacei, per arricchire la loro scuderia di animali da gara. Tra tutti spicca un uccello davvero notevole, che esprime tutta la sua fiera energia, agitando le ali e gonfiando il petto. Che è un campione nato, lo si comprende subito e per quanto l’allevatore tratti, il prezzo che paga è alto. Di certo si rifarà con le scommesse. Per questo, il suo apprendista si aspetta che al prossimo incontro sarà messo subito in campo. Quando lo vanno a prendere, nella sua gabbia sta ancora sprizzando energia, ma l’allevatore ne sceglie un altro. L’apprendista, stupito, non osa chiedere, sa che al maestro non piacciono le domande. La scena è destinata a ripetersi per settimane. Ogni volta che vanno a prendere il gallo, questi si mette in evidenza per la sua grinta, agitandosi, emettendo vigorosi chiccirichi, gonfiando il petto, aprendo le ali. Eppure, il maestro continua a sceglierne altri. Col tempo, il gallo comincia man mano a calmarsi. Finché, un giorno lo trovano nella gabbia completamente fermo. A quel punto il giovane e inesperto apprendista non resiste e commenta: <<Maestro abbiamo aspettato troppo. Ormai il gallo ha esaurito la sua energia>>. Compiaciuto, il maestro allevatore dice: <<Ora è pronto>>. Al suo primo incontro, il gallo entrò nell’agone contro un gallinaceo che sollevava molto terreno. Lo abbatté al primo colpo, restando praticamente immobile. Fu vittorioso su tutte le gli incontri che affrontò. Muovendosi sempre solo quel tanto necessario a colpire mortalmente il suo avversario. Per quanto questa conclusione sia un racconto fin troppo cruento, per un pacifico come me, una simile immagine mi è rimasta impressa positivamente. Se devo dirla tutta, all’epoca sbottai un poco: <<Ma che significa questa storia?!>>. Ero adolescente, mi piaceva farmi notare e agitarmi. Questa morale sulla calma, davvero non me la sorbivo. Il racconto però ha avuto la forza di farsi ricordare. Ed oggi :<<Ora è pronto>>, fa coppia con: <<Combattono le più dure battaglie stando fermi>>. Alla fine, si sa, finisco sempre per pensare a Gesù. Lo penso a terra, nel deserto, fermo per lo sfinimento di quaranta giorni di digiuno, sfidato dal suo avversario, sul piano materiale e morale. Oppure penso alla sua fine, inchiodato sulla più barbara forma di supplizio, innocente ed inerme. Da fermo, immobile, ha combattuto e vinto la più aspra battaglia. Questo tipo di racconti nella mia mente prendono il loro spazio di senso dall’esito dell’esperienza. Penso alle battaglie che ho perduto per essermi agitato come il gallinaceo. E come gli alberi sulla strada, penso alla forma che ho acquistato modellandomi pazientemente allo scorrere di tante vicende avverse. Davanti a me sta l’esperienza della preghiera di meditazione, che ogni giorno mi apre alla visione di come la mano di Dio ha protetto la mia vita. Compongo nei ricordi i tanti episodi di un’esistenza che svelano i loro insegnamento con queste chiavi di lettura. In questa calma impregnata dalla fiducia in Dio e dalle sapienza di tante cose sofferte, trovo il senso ordinato di agire nella vita. Ogni giorno vedo, che le  battaglie si combattono stando fermo. Come gli  alberi di Nonno Gaetano.

                                                                                              Arturo Lanìa