I
neuroni di don Antonio
Il tema dei neuroni
specchio interessa da tempo la mia riflessione. In generale, i neuroni sono
cellule che formano il nostro tessuto nervoso. Detto in termini letterari, da
essi dipende in gran parte chi siamo. Da anni, abbiamo scoperto, intendo gli
scienziati di noi umanità, i neuroni specchio. Quelli che servono
all’apprendimento. Si producono per emulazione. Tu vedi suonare un grande
artista la chitarra e diventi un chitarrista eccellente. Magari! Non proprio
così. Se hai una base, sai suonare una chitarra e vedi un grande chitarrista
suonare, si producono nel cervello un gran numero di neuroni specchio. All’incirca,
questo è il meccanismo. Quello che poi succede, dipende sempre dal soggetto, di
certo ha un gran numero di informazioni nella sua testa per migliorare la
propria performance d’apprendimento.
Mi è capitata qualche giorno fa una storia, che a mio parere descrive
un’attuazione pratica di questo meccanismo neurologico. Il fatto è questo, statemi a sentire. Don Antonio è un sacerdote
napoletano di quarantatre anni. Originario di Torre del Greco, frequenta da
piccolino una parrocchia napoletana. La famiglia ha nella zona un’attività
commerciale, dato che la il parroco, don Emanuele, tiene una scuola primaria ed
elementare, i genitori del nostro Antonio trovano comodo fargli frequentare le
scuole nei pressi del loro lavoro. Il bambino è affascinato dalla figura del
parroco di S. Onofrio al corso Umberto I. Gli piace il suo modo di fare, è
attratto dalla vita di chiesa. Finite le elementari passa alle medie, che
inizia nel suo paese di Torre del Greco. Prova a ripetere lo stesso schema di
vita a cui era abituato, scuola e parrocchia, gli va bene. Nel paese ci sono i
frati di San Francesco, che hanno molte attività pastorali per i giovani, che
culminano con i campi scuola, di cui Antonio conserva un ricordo di armonia e
amicizia. Ad un certo punto gli viene naturale pensare alla vita religiosa come
scelta esistenziale e comincia a farlo presente al parroco della comunità
francescana. Questi, preferisce scoraggiarlo. Rinvia ogni ragionamento al dopo
diploma. Su questo orientamento, la vita di Antonio prende un’altra
traiettoria. Diciamo, col gergo tradizionale “di noi di chiesa”, si fa prendere
sempre più dal mondo. Si fidanza, esce con gli amici, attratto da altri
interessi, in parrocchia va sempre meno, fino a quando non ci va proprio più,
nemmeno la Domenica per la Santa Messa. Che è tutto dire. Il diploma arriva, ma
dato che i programmi sono cambiati, si interessa a cercare lavoro. Con l’aiuto
dei familiari apre una pizzeria. Che storia! Imprenditore della ristorazione. Tutto
fatto. Ma i neuroni sono in attesa di essere attivati. Per quei casi della
storia, che poi si dice siano il modo di Dio di agire in incognito, andando dai
suoi genitori, il giovane imprenditore e l’oramai anziano don Emanuele si
rincontrano. La memoria porta al presente tutti i bei ricordi, di
quell’esperienza di vita che aveva stimolato ideali e progetti. La figura di
don Emanuele esercita ancora il suo fascino di bontà, amicizia e carità
concreta. Sono tante le opere a cui il sacerdote ha dedicato la vita.
Testimonianza dell’amore profuso nella sua scelta esistenziale. Così Antonio
prima riallaccia un’amicizia, poi si fa coinvolgere in qualche attività, infine
apre il cuore e confida la sua primaria aspirazione, che scopre essere ancora
operante nel suo cuore. Per quello che serve a me è meglio scrivere - operante
nella sua mente -. Antonio, si è capito, ha preso la via del seminario e questo
anno compie i primi dieci anni di consacrazione. Un compimento che ha
inaugurato dandosi all’evangelizzazione, proprio nella parrocchia di S.
Onofrio, pur avendone una sua, al corso Vittorio Emanuele, la parrocchia di S.
Maria Apparente. Orbene, che ruolo avrebbero giocato i neuroni specchio in
questa storia? Quello che dico è impossibile dargli un valore scientifico, in
quanto improponibile per un laboratorio. Solo l’osservazione letteraria ne può
trarre comunque fruttuosi spunti. Infatti, c’è l’esperienza iniziale
dell’infanzia e dell’adolescenza, che costruisce una memoria di buoni ricordi. Quando
si ripropone la figura di don Emanuele come paradigma esistenziale, tutte
quelle informazioni si riattivano e generano neuroni specchio, un’emulazione di
comportamento, che chiede di svilupparsi ancora più nel lungo periodo. Infatti,
da sacerdote, don Antonio va a Roma per partecipare all’evangelizzazione di don
Fabio Rosini, che tiene un ciclo di catechesi con un percorso da lui stesso
elaborato, venticinque anni fa, che si chiama “Le Dieci Parole”. Da questa
figura altrettanto carismatica del “suo don Emanuele”, trae allo stesso modo materia
per i neuroni specchio. Infatti l’emulazione si fa impellente per essere messa
in pratica ancora una volta. Così don Antonio tiene nella parrocchia di S.
Onofrio il suo primo ciclo di catechesi “Le dieci parole”. Il luogo primario
della sua vocazione, almeno sul piano del racconto, il luogo dove rimette
insieme la determinante figura carismatica di don Emanuele, quella altrettanto
determinante di don Fabio e tutto il percorso della sua vita. Per rafforzare il senso dello schema che
intravedo nel racconto, usando la conoscenza dei neuroni specchio come chiave
di lettura, ho necessità di fare un parallelismo con un’altra storia che sto
seguendo da vicino, quella di Santa Teresa D’Avila. Senza accostamenti impropri
su virtù ed altri aspetti di santità, vero è che Teresa da piccina, figlia di
genitori pii e devoti, era tutta dedita alle cose di chiesa. Quando adolescente
cominciò a frequentare una sua cugina frivola, fu distratta dalla sua naturale
inclinazione e assorbita dalle cose mondane. Solo il contatto successivo con
una santa monaca, rimise in traiettoria la sua storia e in asse la sua
vocazione. Nel primo dei suoi famosi testi, tra i suoi primi consigli ai
principianti dello spirito, fa notare quanto tempo si perde con i consigli
sbagliati di padri spirituali impreparati. A tal proposito, sottolinea un
aspetto che mi da molto da riflettere. Ella dice che un consigliere è bene che
sia di orazione e spirituale. Ma è necessario che sia prima di tutto preparato.
_Ho
detto questo perché si crede che i dotti senza spirito di orazione non siano atti per chi lo ha. Certo
che il direttore deve essere uomo di spirito, ma se non è anche dotto, l’inconveniente
è gravissimo. Il dotto è di aiuto anche se non ha spirito di orazione, purché
sia virtuoso. Chi tratta con lui profitta molto. Dio gli insegnerà quello che
deve dire, e talvolta, perché giovi di più, lo renderà anche spirituale._ ( Vita
di S. Teresa d’Avila – cap. 13 pr. 19 )
Se ha tutte e due le
qualità è meglio, ma dice la Santa, tra le due la principale qualità è la
preparazione. Dalla vita della Santa, dottore della Chiesa, potrei trarre altri
elementi. Mi fermo a questi per restare
sul pezzo, senza farne un trattato. Nelle due storie a me pare di poter ben
individuare uno schema. La necessità dell’esperienza. Parola che va chiarita.
Si intende certo una pratica applicazione di conoscenze, appunto prima le
conoscenze, poi la pratica. Plinio il Vecchio scrisse: “ _Se all’uomo non gli si insegna non sa fare altro che piangere come
le scimmie_ ”. Riscrivo, quanto è necessario formare delle buone esperienze
che formino una memoria. Esperienze che hanno bisogno di essere guidate da una
parola e da un esempio. Quanto tempo si perde, anche se accade a tutti, dietro
consigli sbagliati dati per impreparazione. Nessuna perdita di tempo è
definitiva. Quando la “buona memoria” si riattiva, si riprendono i percorsi
esistenziali. Inoltre, mi pare giusto affermare che arrivati a consapevolezza buona
cosa scegliere bene le esperienze, evitare le dissipazioni. Le persone che ci
aiutino si possono scegliere. Anche Santa Teresa lo consiglia: _ Si ringrazi il Signore della santa libertà
concessa di scegliere un direttore a proprio talento e si guardi bene dal
perderla! Meglio piuttosto rimanere senza guida, fino a quando il Signore non
conceda di trovarne, come avverrà certamente se si procede con umiltà e
desiderio di riuscire. […] Io lodo il Signore di tutto cuore […] per aver Egli
voluto che vi fossero al mondo persone, che a costo di tante fatiche, sono
riusciti ad acquistare la vera scienza, che noi poverini non abbiamo._ (op.
cit.). La vera scienza ci segnala che la formazione del nostro tessuto nervoso
ed in particolare di quella parte che ci rende capaci di fare, aggiungerei di
pensare, dipende da dove portiamo la nostra attenzione. Sono testimone che
portando dei ragazzi a vedere dei film il loro comportamento, le loro capacità
di ragionamento, mutano sensibilmente. Come se acquisissero elementi ulteriori
per vedere. D’altronde succede anche con i libri, le mostre d’arte, mettono
nella testa qualcosa più che informazioni, ma delle vere e proprie strutture. L’uso
che se ne fa, come dicevo all’inizio, dipende dalle scelte. Per questo
ragionamento, conta il fatto che ci siano. Soprattutto conta che la parola di
qualcuno ci raggiunga per indirizzarci e l’esempio, che si può trarre anche
dalla lettura di buoni libri, generi in noi un paradigma da mettere in pratica.
Il nostro destino dipende da una serie
di circostanze, mi è difficile sposare la tesi che sia tutto nelle nostre mani.
Però la storia di don Antonio mi convince che possiamo scegliere i nostri
pensieri e seguire percorsi che realizzino le nostre aspirazioni esistenziali. Scegliere
continuamente in modo consapevole per costruire. Fidarsi solo di chi le cose le
conosce. Per scegliere bisogna cercare. La ricerca è aperta. Come il
ragionamento.
Arturo Lanìa