sabato 10 febbraio 2018

I neuroni di don Antonio


I neuroni di don Antonio

Il tema dei neuroni specchio interessa da tempo la mia riflessione. In generale, i neuroni sono cellule che formano il nostro tessuto nervoso. Detto in termini letterari, da essi dipende in gran parte chi siamo. Da anni, abbiamo scoperto, intendo gli scienziati di noi umanità, i neuroni specchio. Quelli che servono all’apprendimento. Si producono per emulazione. Tu vedi suonare un grande artista la chitarra e diventi un chitarrista eccellente. Magari! Non proprio così. Se hai una base, sai suonare una chitarra e vedi un grande chitarrista suonare, si producono nel cervello un gran numero di neuroni specchio. All’incirca, questo è il meccanismo. Quello che poi succede, dipende sempre dal soggetto, di certo ha un gran numero di informazioni nella sua testa per migliorare la propria performance d’apprendimento. Mi è capitata qualche giorno fa una storia, che a mio parere descrive un’attuazione pratica di questo meccanismo neurologico. Il fatto è questo, statemi a sentire. Don Antonio è un sacerdote napoletano di quarantatre anni. Originario di Torre del Greco, frequenta da piccolino una parrocchia napoletana. La famiglia ha nella zona un’attività commerciale, dato che la il parroco, don Emanuele, tiene una scuola primaria ed elementare, i genitori del nostro Antonio trovano comodo fargli frequentare le scuole nei pressi del loro lavoro. Il bambino è affascinato dalla figura del parroco di S. Onofrio al corso Umberto I. Gli piace il suo modo di fare, è attratto dalla vita di chiesa. Finite le elementari passa alle medie, che inizia nel suo paese di Torre del Greco. Prova a ripetere lo stesso schema di vita a cui era abituato, scuola e parrocchia, gli va bene. Nel paese ci sono i frati di San Francesco, che hanno molte attività pastorali per i giovani, che culminano con i campi scuola, di cui Antonio conserva un ricordo di armonia e amicizia. Ad un certo punto gli viene naturale pensare alla vita religiosa come scelta esistenziale e comincia a farlo presente al parroco della comunità francescana. Questi, preferisce scoraggiarlo. Rinvia ogni ragionamento al dopo diploma. Su questo orientamento, la vita di Antonio prende un’altra traiettoria. Diciamo, col gergo tradizionale “di noi di chiesa”, si fa prendere sempre più dal mondo. Si fidanza, esce con gli amici, attratto da altri interessi, in parrocchia va sempre meno, fino a quando non ci va proprio più, nemmeno la Domenica per la Santa Messa. Che è tutto dire. Il diploma arriva, ma dato che i programmi sono cambiati, si interessa a cercare lavoro. Con l’aiuto dei familiari apre una pizzeria. Che storia! Imprenditore della ristorazione. Tutto fatto. Ma i neuroni sono in attesa di essere attivati. Per quei casi della storia, che poi si dice siano il modo di Dio di agire in incognito, andando dai suoi genitori, il giovane imprenditore e l’oramai anziano don Emanuele si rincontrano. La memoria porta al presente tutti i bei ricordi, di quell’esperienza di vita che aveva stimolato ideali e progetti. La figura di don Emanuele esercita ancora il suo fascino di bontà, amicizia e carità concreta. Sono tante le opere a cui il sacerdote ha dedicato la vita. Testimonianza dell’amore profuso nella sua scelta esistenziale. Così Antonio prima riallaccia un’amicizia, poi si fa coinvolgere in qualche attività, infine apre il cuore e confida la sua primaria aspirazione, che scopre essere ancora operante nel suo cuore. Per quello che serve a me è meglio scrivere - operante nella sua mente -. Antonio, si è capito, ha preso la via del seminario e questo anno compie i primi dieci anni di consacrazione. Un compimento che ha inaugurato dandosi all’evangelizzazione, proprio nella parrocchia di S. Onofrio, pur avendone una sua, al corso Vittorio Emanuele, la parrocchia di S. Maria Apparente. Orbene, che ruolo avrebbero giocato i neuroni specchio in questa storia? Quello che dico è impossibile dargli un valore scientifico, in quanto improponibile per un laboratorio. Solo l’osservazione letteraria ne può trarre comunque fruttuosi spunti. Infatti, c’è l’esperienza iniziale dell’infanzia e dell’adolescenza, che costruisce una memoria di buoni ricordi. Quando si ripropone la figura di don Emanuele come paradigma esistenziale, tutte quelle informazioni si riattivano e generano neuroni specchio, un’emulazione di comportamento, che chiede di svilupparsi ancora più nel lungo periodo. Infatti, da sacerdote, don Antonio va a Roma per partecipare all’evangelizzazione di don Fabio Rosini, che tiene un ciclo di catechesi con un percorso da lui stesso elaborato, venticinque anni fa, che si chiama “Le Dieci Parole”. Da questa figura altrettanto carismatica del “suo don Emanuele”, trae allo stesso modo materia per i neuroni specchio. Infatti l’emulazione si fa impellente per essere messa in pratica ancora una volta. Così don Antonio tiene nella parrocchia di S. Onofrio il suo primo ciclo di catechesi “Le dieci parole”. Il luogo primario della sua vocazione, almeno sul piano del racconto, il luogo dove rimette insieme la determinante figura carismatica di don Emanuele, quella altrettanto determinante di don Fabio e tutto il percorso della sua vita.  Per rafforzare il senso dello schema che intravedo nel racconto, usando la conoscenza dei neuroni specchio come chiave di lettura, ho necessità di fare un parallelismo con un’altra storia che sto seguendo da vicino, quella di Santa Teresa D’Avila. Senza accostamenti impropri su virtù ed altri aspetti di santità, vero è che Teresa da piccina, figlia di genitori pii e devoti, era tutta dedita alle cose di chiesa. Quando adolescente cominciò a frequentare una sua cugina frivola, fu distratta dalla sua naturale inclinazione e assorbita dalle cose mondane. Solo il contatto successivo con una santa monaca, rimise in traiettoria la sua storia e in asse la sua vocazione. Nel primo dei suoi famosi testi, tra i suoi primi consigli ai principianti dello spirito, fa notare quanto tempo si perde con i consigli sbagliati di padri spirituali impreparati. A tal proposito, sottolinea un aspetto che mi da molto da riflettere. Ella dice che un consigliere è bene che sia di orazione e spirituale. Ma è necessario che sia prima di tutto preparato.
_Ho detto questo perché si crede che i dotti senza spirito di  orazione non siano atti per chi lo ha. Certo che il direttore deve essere uomo di spirito, ma se non è anche dotto, l’inconveniente è gravissimo. Il dotto è di aiuto anche se non ha spirito di orazione, purché sia virtuoso. Chi tratta con lui profitta molto. Dio gli insegnerà quello che deve dire, e talvolta, perché giovi di più, lo renderà anche spirituale._ ( Vita di S. Teresa d’Avila – cap. 13 pr. 19 )
Se ha tutte e due le qualità è meglio, ma dice la Santa, tra le due la principale qualità è la preparazione. Dalla vita della Santa, dottore della Chiesa, potrei trarre altri elementi. Mi fermo a questi per restare sul pezzo, senza farne un trattato. Nelle due storie a me pare di poter ben individuare uno schema. La necessità dell’esperienza. Parola che va chiarita. Si intende certo una pratica applicazione di conoscenze, appunto prima le conoscenze, poi la pratica. Plinio il Vecchio scrisse: “ _Se all’uomo non gli si insegna non sa fare altro che piangere come le scimmie_ ”. Riscrivo, quanto è necessario formare delle buone esperienze che formino una memoria. Esperienze che hanno bisogno di essere guidate da una parola e da un esempio. Quanto tempo si perde, anche se accade a tutti, dietro consigli sbagliati dati per impreparazione. Nessuna perdita di tempo è definitiva. Quando la “buona memoria” si riattiva, si riprendono i percorsi esistenziali. Inoltre, mi pare giusto affermare che arrivati a consapevolezza buona cosa scegliere bene le esperienze, evitare le dissipazioni. Le persone che ci aiutino si possono scegliere. Anche Santa Teresa lo consiglia: _ Si ringrazi il Signore della santa libertà concessa di scegliere un direttore a proprio talento e si guardi bene dal perderla! Meglio piuttosto rimanere senza guida, fino a quando il Signore non conceda di trovarne, come avverrà certamente se si procede con umiltà e desiderio di riuscire. […] Io lodo il Signore di tutto cuore […] per aver Egli voluto che vi fossero al mondo persone, che a costo di tante fatiche, sono riusciti ad acquistare la vera scienza, che noi poverini non abbiamo._ (op. cit.). La vera scienza ci segnala che la formazione del nostro tessuto nervoso ed in particolare di quella parte che ci rende capaci di fare, aggiungerei di pensare, dipende da dove portiamo la nostra attenzione. Sono testimone che portando dei ragazzi a vedere dei film il loro comportamento, le loro capacità di ragionamento, mutano sensibilmente. Come se acquisissero elementi ulteriori per vedere. D’altronde succede anche con i libri, le mostre d’arte, mettono nella testa qualcosa più che informazioni, ma delle vere e proprie strutture. L’uso che se ne fa, come dicevo all’inizio, dipende dalle scelte. Per questo ragionamento, conta il fatto che ci siano. Soprattutto conta che la parola di qualcuno ci raggiunga per indirizzarci e l’esempio, che si può trarre anche dalla lettura di buoni libri, generi in noi un paradigma da mettere in pratica.  Il nostro destino dipende da una serie di circostanze, mi è difficile sposare la tesi che sia tutto nelle nostre mani. Però la storia di don Antonio mi convince che possiamo scegliere i nostri pensieri e seguire percorsi che realizzino le nostre aspirazioni esistenziali. Scegliere continuamente in modo consapevole per costruire. Fidarsi solo di chi le cose le conosce. Per scegliere bisogna cercare. La ricerca è aperta. Come il ragionamento.
                                                                                               Arturo Lanìa