lunedì 22 gennaio 2024

Quando i bagni pubblici diventano filma

A Napoli c'è che uno si va a vedere il film di Wim Wenders. Che bello è bello. Però fa pure figura. Poi lo sa la rete e la figura finisce nel bagno, pubblico. Si perché, la Rete, a questo punto con la maiuscola, ti propone l'articolo di Domus che rivela che Wenders è stato ingaggiato per promuovere i nuovi bagni pubblici di Tokyo. Così ne ha fatto un film. E mentre lo spettatore segue Hirayama lungo il ripetersi del suo quotidiano, vede una serie di bagni pubblici provando ammirazione. Domus li elenca e li descrive. Alla fine porti via con te la ricerca di Hirayama di una vita dello spirito che si sublima nell'esperienza del Komorebi, l'attimo unico della luce che brilla tra le foglie. I piccoli personaggi che incontra nel quotidiano. Provi pure a riflettere un po' se la vita di Hirayama abbia un senso. 3 poi ti resta nella mente quel cataogo di bagni pubblici tecnologici, i vetri sono trasparenti e si fanno opachi quamdo uno è dentro. Insomma Wim Wenders ha fatto con Perfect Days una pubblicità di bagni che ti fa riflettere sulla semplicità della vita e sui tecnologico bagni pubblici giapponesi. E forse forse questa è la vera metofora di questo film. O forse no.

👋😁


lunedì 8 gennaio 2024

 8 gennaio 2024

La suora, il pakistano, la turista e gli auguri.

Questo anno sono 24 che partecipo alla devozione al Sabato Privilegiato. Una devozione mariana e napoletana, che nel 2026 compirà 200 anni. Per me iniziò il sabato primo gennaio del 2000 e nemmeno sospettavo che stavo per iniziarla. Anche questa volta sono andato di buon mattino, abbastanza di corsa, per arrivare in tempo alla seconda messa delle 7:30. Molti sacerdoti partecipano con il popolo a questa devozione, alternandosi all’altare del Gesù Vecchio. Ci sono tempi da rispettare, per il gran numero di partecipanti, la celebrazione si svolge sempre entro trenta minuti. Poi c’è il pellegrinaggio alla statua, posta a conclusione della doppia rampa di scale, sopra l’altare. Può occorre un’altra mezz’ora, in coda con gli altri partecipanti. Poi uno sguardo agli oggetti contenuti nella chiesa, il presepe a grandezza naturale fatto scolpire da don Placido Baccher, che promosse la devozione mariana. In poco più di un’ora sono fuori, come consuetudine. Ma da dopo il Covid qualcosa è cambiato, le percezioni sono diverse, in particolare quest’anno mi sembra di aver compiuto una partecipazione formale e non amorevole. Come si dice nel gergo cristiano, “non mi ha parlato”. Forse. Gli altri due amici sono già andati via, con quello rimasto decidiamo di fare colazione insieme, nella piazza di un altro Santo. D’altronde tutte le piazze del Centro Storico Napoletano sono niente altro che dei sagrati. Davanti alla chiesa dei Santi Marco e Andrea, ormai affidata agli ortodossi, incrocio una suorina che conosco, forse ha ottanta anni, forse novanta e forse cento. Una figura del tutto letteraria, piccolina, veloce, sorridente, sempre in giro, ovunque ci sia una liturgia devozionale. “Troppa roba”, mi fa indicandomi gli arredi della chiesetta ortodossa. Embè, faccio io, comunque hanno una spiritualità radicale. Non so perché fa una virata tematica, “Questo mondo è impazzito”. Embè, ripeto io, incautamente, come se non conoscessi la sua logorroicità, è pur sempre una creazione di Dio. Cito le parole di un libro spirituale appena finito. “Pazzi e cattivi. Guerre e distruzione, questo stanno facendo”. Quando comincio a sentire parlare di astratti soggetti che governano il mondo, mi irrito sempre, ma la suora che ho davanti non mi permette cambi di umore è troppo simpatica, le sue parole schioccano come quelle di una bimba. Punto a tagliare corto, baciandola in fronte, piccolina com’è mi risulta facile. Su questo mondo Gesù ha piantato la sua croce, chioso citando ancora il libro. Lei mi afferra il volto con due manine piene di energia vitale  e mi piega versa di lei, mi restituisce il bacio schioccandolo sulle guance e subito ribadisce: “Allora sei ceco! Non vedi tutto il male che c’è. Assassini, divorzi, aborti. Stanno togliendo Gesù da per tutto. Scuole, ospedali, chiese. Non c’è più la fede”. Dice veloce, a raffica, unendo tutte le parole come fossero una sola. Mi stringe le mani con le sue. La discussione sul mondo corrotto e senza speranza, con una suora mite e allegra proprio non la posso sostenere, provo a baciarle le mani e sfuggire la presa. Lei le ritrae lesta e con abilità da lottatrice mi afferra il bavero: “Ci dobbiamo svegliare, annunciare la fede, altrimenti non ci sarà più niente”. Per un attimo ho la sensazione che mi voglia scalare, come fossi un piccolo poggio. La vedo come quei bimbi che fermamente sostengono le proprie posizioni, ed usano il corpo per affermarle. Ancora solenne e citazionista rispondo, la Croce ha già vinto, abbiamo già vinto. Lei appare delusa, e mi lascia un istante, abbastanza per consentirmi di allontanarmi salutandola sorridente. Anche lei mi sorride, con la sua solita freschezza di sorriso, ma con lo sguardo di rimprovero. Mi resta dentro tutta la conversazione, le sue parole, le mie citazioni. E tutta quell’energia di volontà che è passata tra noi. E lo sguardo gentile e deluso, per non essere stata compresa.

Dopo colazione mi separo dal mio amico. Questo primo sabato dopo il trenta dicembre è caduto il 6 gennaio, ho ancora dei pensieri da comprare. In un’altra piazza, dedicata all’italiano per eccellenza, Dante Alighieri c’è un mercato allestito per le Festività. Un venditore pakistano ha degli ottimi pashmina, con bei colori. Ne prendo un paio. Iniziamo a parlare. Il suo ultimo giorno di mercato, poi torna in Pakistan. Un commerciante di una volta, penso. Gira il mondo per le fiere e poi ritorna a casa sua. Penso a Marco Polo. Si finisce per parlare di quest’ultima Festività, la Manifestazione. La chiamo la Manifestazione dell’Amore, per renderla, come dire, trasversale. Lui musulmano rilancia, “Si Dio è Amore. Nel Corano è scritto prima di tutto rispetta l’altro. Non c’è guerra nel Corano. Rispetta la persona è scritto”. Per me è la mattina delle citazioni, ho letto che il Corano dice, se vuoi entrare in Paradiso, ama tuo fratello. Mi guarda diritto negli occhi, con una vena di stanchezza di tanti giorni di lavoro all’aperto. “Si. Prima la persona. Muslim è pace no guerra. La religione fa guerra. Ma il Corano è per l’uomo non per la religione. Prima viene l’uomo, poi la religione”. Oh, penso tra me, mi pare davvero che stiamo parlando del Vangelo. “Muslim non uccide. Occidente, Americani uccidono”. E te pareva, penso tra me, poteva andare liscio. Vogliamo parlare dei Martiri di Otranto. Ma no, non voglio trasformare questa conversazione in uno scontro. “Nel Corano è scritto prima di tutto rispetta la persona. Se rispettiamo la persona tutti vivremo in pace”. Bene, è proprio così. “Buona giornata fratello”. Come si dice in arabo che Dio sia con te? Lui me lo dice e io lo ripeto su di lui. Lui lo ripete su di me, guardandomi con quegli occhi pieni di fatica e di fede.

Dovrei fare altre commissioni, ma sulla mia strada c’è una mostra che ancora non ho visto. La Pittura al tempo di Napoleone, i Colori del Golfo. Il protagonista è Joseph Rebell, esposto insieme ad altri pittori. Ne esco con una specie di illuminazione. Non potevano davvero continuare a dipingere così, a raccontare il mondo in quel modo. Capisco perché è arrivata la rivoluzione della pittura e delle altri arti visive. Il mondo non ce la faceva proprio più ad essere raccontato in quei modelli. L’arte ne doveva tenere per forza conto. Doveva cambiare il linguaggio del suo sguardo.

Ci penso ancora la sera mentre i Cantori di Posillipo cantano le arie più famose della canzone classica napoletana, che da quell’epoca antica ancora sopravvive.

Al mattino seguente sono alla messa della Domenica. La Basilica che mi custodisce nei sacramenti è davvero antica, adornata di storia. Andrebbe visitata fuori dall’orario delle messe. Ma i turisti hanno idee diverse. Passeggiano nelle navate laterali comunque. D’altronde, per onorare il vero, anticamente accadeva così, si passeggiava nelle ampie navate mentre si celebrava. Ed anche oggi, nelle solennissime messe ortodosse, ai margini ci sono banchetti di oggetti dove si comprano oggetti durante la liturgia, alcuni in essa saranno persino usati. Ma quando una signora spudoratamente apre il cancello di una cappella e vi entra dentro, comincio a friggere sulla sedia. Dopo un poco, mentre lei ancora è intenta a fare il “servizio fotografico”, di un ambiente tra l’altro scuro, mi sento in dovere di fare qualcosa. Ovviamente dopo c’è chi mi dirà, hai fatto bene e chi mi dirà, quante arie. Ma succede così anche nelle famiglie, cellule primarie della società. Tra fratelli, i figli con i genitori. Succede. Quello che però accade a me, quando con passo marziale entro nella cappella è incontrare lo sguardo dell’anziana turista. Ha un occhio spento. Mi ricorda una pellegrina che ho conosciuto pochi giorni prima, ipovedente. Ha l’aria un poco confusa dalla mia domanda, hai fatto tutte le foto? Mentre le indico l’uscita dalla cappella. Ma la sua aria semplice non mi permette irritazione. Lo sguardo infantile non offre appigli a conflitti. Esce e dice: “Certo che è bella questa chiesa”. Si, le confermo, lo è davvero.

Il sacerdote sta completando la sua omelia. “Ci vuole uno sguardo nuovo per vedere il Dio che Gesù vuole mostrare al mondo. Lui che si manifesta mettendosi in fila insieme agli altri per farsi battezzare.” Penso alla fila per salire a porgere omaggio alla statuina fatta scolpire da don Placido. Penso alle cose belle delle ultime settimane. “Prima di chiedere grazie a Dio, comincia a chiederti cosa vuoi tu? Chi vuoi essere?” continua l’omelia. Penso agli sguardi. Dei pellegrini con cui sono andato a Roma per far visita all’altare dove San Gaetano ebbe la visione del Presepe. Penso allo sguardo di chi pur anziano, persino ipovedente, si è messo in marcia per un’ora per raggiungere la meta. Penso agli sguardi degli amici che ho incontrato nei giorni delle festività. Alcuni allegri, altri tristi. Penso alla suora, al pakistano, alla turista.  Penso agli auguri di un’amica per il nuovo anno. Mi ha regalato dei torroncini, con un biglietto:

<<Non perché ti rompa i denti, J, ma affinché quando e se verrà un giorno tosto tu ti ricordi che hai denti forti per superarlo. Nel fondo ogni durezza ha del buono, se “addentata”, arrivando al cuore scoprirai addirittura del miele! Questo il mio augurio per il Nuovo Anno: che tu arrivando al cuore al cuore di ogni cosa e di ogni persona, lo trovi più ricco di ogni bene e bontà! Quindi, che sia un anno da “addentare” si, ma carico di bene, che ti porti al cuore delle cose e delle persone dove c’è tutto il bello>>.

Il biglietto è decorato con tanti bei fiorellini colorati.

Quando la messa finisce, il trio messicano dei novizi della famiglia religiosa canta in spagnolo Feliz Navidad, Alleluja, El camino de Belen, Echa pa’aca con Cristo, Rendid a Yaveh. C’è tanta allegria, e balliamo.

Uno sguardo nuovo, dei buoni denti, tanta allegria, amici. Che il Nuovo Anno sia un cammino. Di certo è così che è iniziato. Incontrerò ancora la suora, il pakistano è in viaggio per il suo paese, e altri turisti verranno in basilica. E gli auguri li ho imparati a memoria. Il Nuovo Anno è iniziato. Bene. Auguri a tutti.

     Arturo Lanìa