lunedì 25 ottobre 2010

Terzigno I Pacifici Rivoltosi
La mattina è ovattata, l’aria è tiepida, umida, genera un’ atmosfera sospesa. Siamo pensierosi, la notte nessuno di noi due ha dormito. Viviamo in mondo che ci piace, che vogliamo capire. I media e la loro informazione generano fracasso. Noi vogliamo capire. Terzigno è a venticinque chilometri da Napoli. Come può una comunità di cittadini di questo paese trasformarsi in rivoltosi da guerriglia? Vogliamo andarci, vogliamo capire.
Il viaggio racconta da subito la vicenda. La stazione della Circumvesuviana di Terzigno è chiusa, i binari sono occupati. Scenderemo ad Ottaviano per iniziare un cammino di cinque ore, lungo la chilometrica via Zabatta.   La strada attraversa tre comuni, tagliando in due i confini, la campagna e le case. Nel tratto finale diventa un Strada Provinciale.  Le barricate cominciano da lì, dalla chiesetta di San Leonardo che segna l’inizio della strada da Ottaviano. Un edificio muto, con le sue campane immobili. Alla fine di questo tracciato urbano c’è la Rotonda Panoramica, con al centro un tronco di ulivo. Tra questi due segni della fede, una serie di persone con le loro storie e la loro battaglia.
Il territorio è chiuso, con le auto non si entra e non si esce. Le barricate sono fatte di alberi tagliati, pneumatici, campane per il vetro rivoltate. Lungo il primo tratto parliamo con dei ristoratori. Piangono il guadagno perso, ma troveremo solo un imprenditore che critica la rivolta. Da lì, quando gira il vento, la puzza si sente e la sentiamo anche noi. I ristoratori sono in difficoltà, come tutte le attività che hanno dovuto chiudere in questi giorni. Quel tratto però è Ottaviano non Terzigno. Ma hanno lasciato che mettessero le barricate. Non li hanno aiutati i terzignesi nella lotta, questo glie lo debbono. Lungo la strada le attività chiuse o aperte espongono tutte cartelli con la scritta - NO ALLA DISCARICA - . Il cono del Vesuvio, con la corona del suo monte Somma sono alla nostra destra. Imponenti testimoni di popoli con tradizioni millenarie. A sinistra il golfo, chiuso dai monti Lattari, la piana di Pompei. Davanti il Nord, la strada verso la città, lo stato avverso. A cui è chiuso l’accesso.
L’unico imprenditore che critica la rivolta, fa parte del comitato promotore del territorio. Qui si produce il Lacrima Christy, le olive, le nocelle. La zona è famosa per i suoi ristoranti per cerimonie. Ne incontreremo uno, che fu nell’attenzione d’investimento di Maradona, prima che fosse costretto a lasciare l’Italia. E’ desolato il nostro amico, nel suo elegante negozio di leccornie locali, non c’è nessuno. Ma anche  lui ci racconta che i problemi non nascono oggi. La discarica è proprio in mezzo alle vigne, a ridosso dei ristoranti. E’ la bocca di un vulcano che non ha bisogno di esplodere per distruggere.
Quando lasciamo il territorio di Ottaviano ed entriamo in Terzigno, la strada passa tra una lunga fila di caseggiati a un piano, che potremmo definire villette, se ne avessero l’archittetura.   Un furgone si ferma davanti ad una barricata, e scarica dei copertoni. Non è un rivoltoso, chissà da dove arriva? Approfitta semplicemente della situazione, per liberarsi del suo carico. Nessuno gli dice niente. A terra ci sono già delle grucce, un manichino con un cartello, gli alberi. C’è un presidio di donne e bambini. Parliamo con loro. Proviamo orrore quando ci raccontano che la notte è da lì che passano i camion.  La puzza, i topi, il rumore. Bambini piccoli in bici ci guardano curiosi, una giovane studentessa racconta la rabbia, una mamma dal terrazzo ci dice che stanno difendendo la vita. Più avanti un’anziana donna col cancro ci piange in faccia, perché la puzza ne fa una prigioniera in casa. Perché la vita qui è questa. Casette ad un piano, e aria di campagna. Non ci sono industrie, la città è lontana. Il territorio è tranquillo. C’è solo la discarica. Invisibile e incombente.
I cittadini di un territorio e lo Stato. Un brigante lo incontriamo, è lui stesso a definirsi così. E’ preparato, ha fatto il sessantotto, ragiona e minaccia. Ricorda con orgoglio il brigante Polone. Mi vengono in mente i guerriglieri afgani. A Danilo evoca Federico Barbarossa. In effetti gli somiglia. Ci fa la cronostoria della discarica. La vorrebbero sì, con l’impianto di vagliatura. Significherebbe lavoro. In effetti è per questo che hanno sottoscritto gli accordi. Ma il decreto ha buttato al macero il buono, e ha riaperto la discarica a tutto. Così si muore. E da queste parti non si muore senza combattere. D'altronde in tutto questo c’è un’ironia grottesca. In queste zone la differenziata funziona benissimo. Quasi tutti hanno il giardino o un appezzamento. Usano l’umido come fertilizzante e la differenziata è raccolta porta a porta. In pratica qui non fanno immondizia. Questo è il grottesco.
Abbiamo parlato con decine e decine di persone, tutte pacifiche, ragionevoli e determinate. E la violenza? I camion bruciati, orribili scheletri inceneriti che segnano il racconto di un conflitto? Le sassaiole, i feriti? - Non siamo contro lo Stato -. Lo dicono tutti. - Dallo Stato siamo abbandonati -. Della Protezione Civile e di Bertolaso non si fidano, non hanno dimenticato la cricca e le promesse a L’Aquila. Ma questa gente qui i sassi ai poliziotti non li lancia. Meno che mai incendia i camion. Questa è terra di lacrime di vino, ma anche di lacrime di camorra. I violenti li hanno isolati. Ma gli scontri avvengono di notte. Quando tolgono anche la luce per disperdere i dimostranti. Può sembrare una spiegazione di parte. Chiediamo conferma ai poliziotti. I blindati dei tre corpi, polizia, carabinieri e finanza, presidiano la discarica. Ci ripetono la versione dei cittadini. La popolazione è determinata, difende il suo, ma è ragionevole. I violenti si sono infiltrati. Odiano le forze dell’ordine. Vogliono che ci scappi il morto. Non hanno a che fare con la protesta, che è pacifica. Sentirselo dire da guerrieri armati di tutto punto è singolare. Ma sono servitori dello Stato, che hanno degli ordini. Questa è una delle chiavi della storia. Gli ordini dello Stato.
Ormai siamo alla rotonda. Ci sono decine di giornalisti. Una troupe è giapponese. Una giornalista di un’importante testata, sbotta perché il direttore le ha chiesto un servizio sulla bandiera bruciata. Ma il fatto è accaduto il giorno prima. “Ora ne compro una e la brucio io”, si sfoga. Il fracasso dei media, appunto. Abbiamo camminato per ore tra pacifici cittadini. Le barricate non sono più impervie dei resti della notte di Capodanno a Napoli. Il paesaggio è una tranquilla campagna. L’unica cosa che ci turba è la fila di poliziotti in tenuta antisommossa, che chiudono l’accesso meridionale alla rotonda. Ci passiamo in mezzo. Ho un sussulto, è dai tempi dell’università che non li vedevo così da vicino. Nello spazio intorno all’ulivo ci sono tutti. Mamme, papà, bambini, nonni. Ad una donna che sta lasciando il presidio per andare a lavorare, sostituita dal marito, chiediamo se ha paura dei poliziotti con gli scudi e i manganelli. “Perché dovrei? Siamo pacifici cittadini che difendiamo il nostro territorio.”
Arturo & Danilo


mercoledì 20 ottobre 2010

Fedeli laici, che fate?

... Ascoltiamo quello che dice nell'inviare i predicatori: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai per la sua messe» (Mt 9, 37-38). Per una grande messe gli operai sono pochi. Di questa scarsità non possiamo parlare senza profonda tristezza, poiché vi sono persone che ascolterebbero la buona parola, ma mancano i predicatori. Ecco, il mondo è pieno di sacerdoti, e tuttavia si trova assai di rado chi lavora nella messe del Signore. Ci siamo assunti l'ufficio sacerdotale, ma non compiamo le opere che l'ufficio comporta. [Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa(Om. 17, 1-3; PL 76, 1139)]


...Con lungimiranza il Servo di Dio Paolo VI osservava che l'impegno dell'evangelizzazione "si dimostra ugualmente sempre più necessario, a causa delle situazioni di scristianizzazione frequenti ai nostri giorni, per moltitudini di persone che hanno ricevuto il battesimo ma vivono completamente al di fuori della vita cristiana, per gente semplice che ha una certa fede ma ne conosce male i fondamenti, per intellettuali che sentono il bisogno di conoscere Gesù Cristo in una luce diversa dall'insegnamento ricevuto nella loro infanzia, e per molti altri” (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, n. 52) [LETTERA APOSTOLICA UBICUMQUE ET SEMPER DEL SOMMO PONTEFICE BENEDETTO XVI]


1. I FEDELI LAICI (Christifideles laici), la cui « vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo a vent'anni dal Concilio Vaticano II » è stato l'argomento del Sinodo dei Vescovi del 1987, appartengono a quel Popolo di Dio che è raffigurato dagli operai della vigna, dei quali parla il Vangelo di Matteo: « Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna » (Mt 20, 1-2).
La parabola evangelica spalanca davanti al nostro sguardo l'immensa vigna del Signore e la moltitudine di persone, uomini e donne, che da Lui sono chiamate e mandate perché in essa abbiano a lavorare. La vigna è il mondo intero (cf. Mt 13, 38), che dev'essere trasformato secondo il disegno di Dio in vista dell'avvento definitivo del Regno di Dio.[ESORTAZIONE APOSTOLICAPOST-SINODALECHRISTIFIDELES LAICI  DI SUA SANTITA'GIOVANNI PAOLO IISU VOCAZIONE E MISSIONE DEI LAICINELLA CHIESA E NEL MONDO]

Col nome di laici  si intendono qui tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell'ordine sacro e dello stato religioso sancito dalla Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti Popolo di Dio e, a loro modo, resi partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano. [Costituzione Lumen gentium]



Se pensate che la Nuova Evangelizzazione sia nelle mani dei preti, non conoscete la Chiesa, corpo mistico di Nostro Signore, a cui appartenete. Volete fare i parrocchiani. Fatelo pure. Ma non siate ti intralcio a chi vuole corrispondere alla chiamata dell'evangelizzazione. Dove non ci sono comprimari.
IV. Come parlare di Dio? 39 Nel sostenere la capacità che la ragione umana ha di conoscere Dio, la Chiesa esprime la sua fiducia nella possibilità di parlare di Dio a tutti gli uomini e con tutti gli uomini. Questa convinzione sta alla base del suo dialogo con le altre Religioni, con la filosofia e le scienze, come pure con i non credenti e gli atei. [Catechismo della Chiesa Cattolica]

Without Words

Capri

Capri e il Golfo di Napoli

Capri dal Corso Vittorio Emanuele

Capri da Capodimonte

Capri co Grattacielo dell' Hotel Jolly e Cebtro Storico

Capri

martedì 19 ottobre 2010

You raise me up

When I am down and, oh my soul, so weary;

When troubles come and my heart burdened be;

Then, I am still and wait here in the silence,

Until you come and sit awhile with me.



You raise me up, so I can stand on mountains;

You raise me up, to walk on stormy seas;

I am strong, when I am on your shoulders;

You raise me up... To more than I can be.



You raise me up, so I can stand on mountains;

You raise me up, to walk on stormy seas;

I am strong, when I am on your shoulders;

You raise me up... To more than I can be.



You raise me up, so I can stand on mountains;

You raise me up, to walk on stormy seas;

I am strong, when I am on your shoulders;

You raise me up... To more than I can be.



You raise me up, so I can stand on mountains;

You raise me up, to walk on stormy seas;

I am strong, when I am on your shoulders;

You raise me up... To more than I can be.



You raise me up... To more than I can be.http://www.youtube.com/watch?v=EDgVske63cY
Vesuvio e San Martino dalla Collina dei Camaldoli

Posillipo e Nisida dalla Collina dei Camaldoli

Nidida Procida Vivara Ischia dalla Collina dei Camaldoli
Dalla Collina dei Camaldoli


Volavo senza una meta nello sguardo disteso nell'infinito solo per lasciarmi un po' andare

Punti di Vista

Allora io ero là sulla più alta collina, e rimiravo pensando alla bellezza che mi circondava. Anche nel core s'aprì il bel varco alla contemplazione di quell'antico amore che sull'altare sempre si rinnova in ogni dove.

mercoledì 13 ottobre 2010

Le fiabe, uso, importanza e significati

Introduzione all’uso delle fiabe per crescere bene i figli.
Un giorno conversavo con un amico. Raccontò la paura per i cani, di un suo figlio. C’era stato un episodio che lo aveva spaventato; questo spavento non lo aveva più lasciato. Suggerii di raccontargli una fiaba. Avevo visto applicare il racconto, per aiutare i bambini a superare le paure, ma soprattutto per imparare a relazionarsi con il mondo che li circonda. Il mio amico già raccontava storielle al suo piccolo, da lui stesso inventate, ma non aveva mai pensato di strutturarne una apposita, per aiutarlo a superare una paura. Quando lo rincontrai, mi gratificò sapere che il metodo ebbe funzionato. Il piacere per aver dato un buon consiglio, mi spinse a regalargli il mio volume de “Le Mille e Una Notte”, una famosa raccolta di fiabe orientali.  Essendo il mio amico un padre, non conoscendo la raccolta, cominciò a chiedermi se il contenuto fosse adatto. Ma soprattutto, mi fece la domanda da un milione di dollari: - A che servono? -.  Mi resi conto che non ne sapevo abbastanza per dare una spiegazione. Quando una cosa nessuno te l’ha insegnata, non la sai. Questa è una regola di vita, che ho imparato col tempo. Cadiamo tutti nella trappola di credere di essere nati imparati. La trappola speculare è di credere di sapere tutto, perché si ricopre un certo ruolo. Comunque, non avendo dato al mio amico una spiegazione chiara, il mio volume sta collezionando la polvere di casa sua.
Per corrispondere alla mia regola, nel frattempo mi sono documentato. Ho letto il saggio sulle fiabe del prof. Bruno Bettelheim “Il Mondo Incantato” [Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe] (ed. Universale Economica Feltrinelli, pgg. 297, € 8,50). È un testo divulgativo, comunque richiede il suo tempo di lettura e di comprensione. Ho pensato di scrivere una sintesi introduttiva, da condividere in rete, per stimolare la conoscenza dell’importanza delle fiabe nel crescere i figli. Ma non solo. Da questa lettura ho compreso meglio alcuni dei meccanismi che determinano il nostro comportamento di adulti. Così ché il contributo di questa esperienza di lettura è stato duplice. So spiegare l’importanza delle fiabe, comprendo meglio i miei comportamenti da adulto.
Si tratta di una sintesi, quindi i concetti sono appena tratteggiati. Inoltre ho cambiato l’ordine espositivo. Ho scritto come se volessi spiegare in una conversazione al tavolino di un bar, con un linguaggio che esprimesse anche una certa emozione di gratificazione nel dare una spiegazione. L’ordine delle idee segue il filo delle possibili domande di un interlocutore. Ad iniziare da quella che ha fatto partire tutto:
- A che servono? –
Le fiabe sono fondamentali e determinanti. Due sono i sistemi per educare ed aiutare a crescere un bambino fino alla maturazione adulta. Sono le fiabe ed il gioco. Ed un gioco particolarmente efficace è la drammatizzazione delle fiabe. Inoltre l’adulto ha un impatto determinante sulla formazione così, leggere le fiabe al proprio figlio genera un legame di alleanza molto speciale. Più forte se vi partecipano entrambi i genitori.
So per esperienza, che appena si dice a degli adulti quel che devono fare, si ritraggono di fronte all’impegno da assumere. Ed ora sono capace di capire meglio il perché. Dico allora, che leggendo si comprende che questa esperienza è utile anche ai genitori, per ripercorrere e rielaborare le tappe della loro formazione. Insomma, aiuta l’adulto a migliorare se stesso; non semplicemente nel ruolo di genitore, ma, fondamentalmente, nella sua struttura di persona.
L’esperienza di raccontare riguarda chi ascolta e chi narra.
Possiamo raccontare qualunque cosa?
No. Il concetto è no. Le fiabe son le fiabe. Ma prima capiamo un concetto, chi è il bambino? Forse, chi li alleva sa già molto. Ma forse non sa tutto. Per esempio che il bambino non ha capacità di elaborazione razionale. Quel che segue è molto interessante. Il nostro cervello si sviluppa per gradi, sia psicologicamente che strutturalmente. Da zero a dodici il cervello ha delle fasi di formazione strutturale. Fintanto questa evoluzione non si è compiuta, è inutile pretendere delle perfomance che non può compiere. È determinante il tempo. Fin qui, forse, è il molto già noto. Ci aggiungo che in questo fase evolutiva, per raggiungere una buona maturazione psicologica, è fondamentale il contenuto delle esperienze che si compiono. Le esperienze umane non sono solo quelle reali. Anzi, primarie, ovvero che devono venire prima perché sono determinanti, sono le esperienze dell’intelletto. Sappiamo tutti che di fronte alla stessa situazione distinte persone, reagiscono in modi diversi. Dipende da ciò che abbiamo in testa. Che dipende da come il cervello ha elaborato le informazioni sul mondo esterno e sulla personalità dell’individuo. Il bambino è egocentrico, perché capisce (badate al significato dei verbi) il mondo partendo da se stesso. Il resto gli ruota intorno, o dall’esterno o dall’interno. Per capire, usa il suo sistema di pensiero, che non è astratto. Non capisce concetti. Esempio. Tiriamo in ballo il famosissimo Piaget ed avvaliamoci di You Tube. Piaget ha spiegato che il bambino (fino a dodici anni, ficchiamoci in testa l’arco temporale), non ha i fondamentali concetti di astrazione. In relazione alla Quantità, non comprende la Permanenza e la Reversibilità. Su You Tube ci sono filmati che lo mostrano. Un bambino non comprende che la stessa quantità di liquido è bassa in un contenitore largo e alta in uno stretto. Così non comprende che un pezzo di creta suddiviso in tante palline costituisce la stessa quantità.
Interessante, ma che significa?
Significa che la struttura celebrare ha un suo sistema di comprensione che se non lo conosciamo non possiamo comunicare informazioni significative. Le spiegazioni dirette e razionali i piccoli le sanno ripetere a memoria, ma per loro non significano nulla. Anzi significa che non sappiamo aiutarli a capire. Questo genera ansie, direi reciproche, e separazioni.
Allora?
Per parlare ai piccoli, dobbiamo usare il loro linguaggio, nel loro sistema. Acquisiamo ancora due informazioni. I bambini sono animistici. Credono che anche cose e animali hanno un’anima, non solo gli umani. “La porta mi ha urtato”, perché non comprendono di poter urtare una porta per farsi male. L’altra informazione è che non comprendono il dualismo. Come fa la mamma ad essere cattiva e buona? Questo non è possibile per la loro struttura celebrale. Allora, si tratta di due persone diverse. La cattiva prende il posto della buona. Anche il dualismo interiore, finché il cervello non è maturo, è impossibile (ripeto impossibile) da comprendere. Desidero mangiare i biscotti, insieme desidero obbedire alla mamma che mi ha detto di non mangiarli. Il bambino cattivo li ha mangiati. Non è una scusa, è la verità che possono comprendere. Voglio obbedire alla mamma, non posso essere stato io a disobbedirle.  Il bambino elabora la presenza di due persone, quando c’è qualcosa di lui che non riesce ad accettare. Un altro esempio quando fa la pipì a letto. Non finge che sia stato un altro, lo crede davvero perché non accetta la situazione. Con questo stratagemma può vivere questa situazione, senza restare schiacciato dalla vergogna. Se ne libererà da solo, quando avrà raggiunto sufficiente sicurezza.
Ora è più chiaro che le fiabe sono strutturate per questo modello intellettivo e ne hanno il linguaggio.
All’inizio ho esordito dicendo che non tutte le storie sono adatte. Vi sono fondamentali differenze tra fiabe, favole e mito. Per accenno, la favola ha un fine morale: “La formica e La Cicala” ci insegna che la cicala è perduta dalla sua allegria, la formica protetta dal suo lavoro. Non ci sono deduzioni è tutto chiaro. Il mito ha un eroe irraggiungibile e dalle virtù inimitabili. Il finale è in genere triste. La fiaba ha un linguaggio di fantasia, chiaro e rassicurante. Non ha un palese intento morale, ma una struttura che permette l’elaborazione di situazioni psicologiche che l’essere umano si trova ad affrontare. La storia che propone permette un percorso che ha valore significativo, tale da essere sperimentato come esperienza reale. Il bambino è consapevole della dimensione fantastica, ma sa che l’esperienza è reale e la fa sua per maturare un valore di senso. Così riesce ad entrare in confidenza con le pressioni caotiche dell’ES e ad ordinare le sue pulsioni emozionali e le relazioni con il mondo esterno.
Certo, di questo stiamo parlando. La crescita è l’elaborazione dell’Io e più del Super-Io, per ordinare il caos del subcosciente ES. Il principio di realtà, che maturando orienta il principio di piacere, per costruire una vita di senso. Questo è il progresso della maturazione psicologica, comprendere i significati di senso della nostra vita. La domanda esistenziale – Chi sono io? -, impariamolo, se la pone anche il bambino. Fintanto che è neonato, si percepisce e si “realizza”, nel rapporto fusionale con la madre. Sa di esistere quando la madre lo accudisce e lo tiene in braccio. Comincia a crescere e sperimenta la separazione, la nascita di un altro fratello (o sorella) e così via. Ha bisogno di capire il mondo intorno. L’uso che può e deve fare degli oggetti. La relazione da istaurare con le altre persone. I suoi comportamenti. L’adulto crede di spiegare perché apre la bocca e dice delle cose. Non ha un feedback e si inalbera perché non è capito. Forse dimentichiamo che non ci capiamo neanche tra adulti? Per i bambini comunque il sistema c’è. Sono le fiabe.
Vediamolo allora questo sistema. Per cominciare a capire, usiamo il confronto tra favola e fiaba. Più sopra ho citato la favola “La Cicala e La Formica”. La cicala passa l’estate a cantare e suonare, la formica sgobba. Sopraggiunto l’inverno, la formica si gode le sue fatiche, la cicala muore di fame. La morale è evidente e … soffocante. Guai a te se provi simpatie per la cicala. Se le somigli, per te non c’è speranza. Confrontiamo questo messaggio monitore, anche un po’ ansiogeno, con la fiaba de “I Tre Porcellini”. Per difendersi dal lupo, il più piccolo costruisce una casa di paglia, il mediano di legno, il più maturo di pietra. Le prime due il lupo le abbatte in progressione. Ma i due porcellini trovano un rifugio sicuro nella costruzione del più grande. Il lupo prova ad allettarlo per farsi aprire la porta. Non ci riesce. Elabora allora uno stratagemma e riesce ad entrare.  Ma finisce comunque sconfitto dalla furbizia del porcellino maggiore e sarà bollito.
Questa storia ci permette di codificare tutte le caratteristiche che ne fanno una fiaba. La fiaba ha un linguaggio di fantasia, chiaro e rassicurante. Non ha un palese intento morale, ma una struttura che permette l’elaborazione di situazioni psicologiche che l’essere umano si trova ad affrontare. Per poter crescere bene e maturare ordinatamente, dobbiamo sviluppare per gradi la fiducia in noi stessi. Dobbiamo conoscere le difficoltà che ci aspettano, ma prima, essenzialmente prima, dobbiamo avere la forza di affrontarle. Questa forza si chiama fiducia. La fiducia è la certezza che dopo la sopportazione delle prove il risultato sarà la vittoria. Il bambino non è consapevole che ci sono forze interiori che lo dominano. Guai se provassimo a spiegarglielo. Quest’idea lo distruggerebbe. Il nostro racconta mostra questa realtà, velatamente. Non dice che cosa va fatto, ma appassiona alla scelta migliore, proponendo i gradi. Il più piccolo dei porcellini è dominato dal principio di piacere. Costruisce la casa di paglia perché così ha più tempo per giocare. Quando arriva il lupo però non soccombe. Può rifugiarsi dal più grande. Un gradino superiore verso il principio di realtà. Quello non è abbastanza maturo, anche la sua costruzione di legno viene bruciata da lupo. Ma i due non soccombono, trovano rifugio definitivo dal più maturo. La sua costruzione è di pietra, non cede alle blandizie del lupo per fargli aprire la porta, lo vince in astuzia e lo bollisce, quando il cattivo animale riesce ad entrare dal camino.  La fiaba garantisce il lieto fine. Questo conforta per affrontare le prove della crescita. I fallimenti non fanno soccombere, ma ci fanno salire a gradini più alti. Non c’è nulla di male ad essere il più piccolo e il più sprovveduto, perché si cresce e si matura. Per quanto terribile e furbo, il lupo alla fine soccombe. Ed è un bambino a farlo soccombere.
Questa è la fiaba migliore che si può raccontare ad un bambino?
No. Assolutamente, togliamoci dalla testa la formula magica. Impariamo piuttosto queste regole. Raccontare fiabe è un percorso che va da tre a dodici anni. Ad un certo punto il bambino comincia a leggerle da solo. Le fiabe fanno fare l’esperienza psicologica per affrontare i diversi problemi. Diversi problemi, diverse fiabe. La scomparsa di un problema ne fa apparire uno nuovo. Si cresce. Ogni tempo ha la sua fiaba. La scelta la compie il bambino, l’unico che sa cosa gli passa per la testa. L’unico che sa quando ha veramente risolto la questione che lo assilla. Per cui, fino alla risoluzione, chiede il racconto sempre della medesima fiaba, che abbandona quando è passato ad uno stadio successivo.
Ecco che in questo schema “Le Mille e Una Notte”, rappresentano un percorso completo. Non è il ciclo migliore. Semplicemente è quello che ho regalato al mio amico. Quindi ve lo sottopongo. L’importante che si comprenda che la storiella moralistica, o di puro intrattenimento, non è significativa. Non serve. Le fiabe classiche, che poi altro non sono che la saggezza millenaria dei popoli, sono il vero sistema.
In seguito scriverò ancora di questo.   
 Arturo

martedì 12 ottobre 2010

Bozza di sintesi sull’ uso e l’importanza delle fiabe di Bettheleim

Bozza di sintesi sull’ uso e l’importanza delle fiabe di Bettheleim

La mente dell’essere umano ha gradi di sviluppo che sono determinati dal tempo e dall’esperienza. L’esperienza determina la qualità della maturazione psicologica in dalla quale dipendono tutte le nostre reazioni alla vita reale. Se siamo consapevoli dell’importanza di questo, dobbiamo concentrarci sulla domanda quale sistema di comunicazione usa il bambino e quale aiuto gli è utile per crescere ordinatamente. Piaget ha individuato che l’essere umano sviluppa la mente razionale solo dopo i dodici anni. Fino a quell’età è privo della capacità di ragionare per astratto, in quanto non ha i due concetti della Quantità: la permanenza e la reversibilità. Su You-Tube si trovano degli interessanti filmati che mostrano come al disotto dei dodici anni non comprendiamo che la stessa quantità di liquido è bassa in un contenitore largo e alta in uno stretto. Altre sono le caratteristiche della nostra struttura mentale, che a diverso grado, ci strutturano fino alla pubertà. Siamo animistici. Crediamo cioè che oggetti e animali possiedono un anima come gli umani. Non sbattiamo contro la porta, ma la porta sbatte contro di noi perché è cattiva. Non abbiamo la razionalità, quindi la realtà ci disorienta. Aumentano il nostro disorientamento le spiegazioni realistiche che chi è già adulto pretende di propinarci. Possiamo impararle a memoria, ma non le possediamo come concetto. Per finire, c’è il caso interiore, determinato dalle pulsioni del subcosciente (l’ES) della cui esistenza non siamo consapevoli e guai se lo fossimo. L’idea che abbiamo dentro aspetti della nostra natura che ancora non controlliamo ci distruggerebbe. Infatti per poter cresce bene e maturare ordinatamente, dobbiamo sviluppare per gradi al nostra fiducia in noi stessi. Dobbiamo conoscere le difficoltà che ci aspettano, ma prima, essenzialmente prima, dobbiamo avere la forza di affrontarle. Questa forza si chiama fiducia. La fiducia è la certezza che dopo la sopportazione delle prove il risultato sarà la vittoria. Questo percorso di crescita è determinato dall’impatto che hanno su di noi gli adulti che si occupano della nostra formazione e dall’ambiente culturale. La letteratura si occupa da sempre di trasmettere le informazioni di questo tipo. Il tipo di letteratura che i popoli si trasmettono per generazioni è la saga, ovvero la fiaba. Distinguiamo subito che favole e mito non sono fiaba. Per accenno, la fiaba ha un fine morale: La formica e la cicala ci insegna che la cicala è perduta dalla sua allegria, la formica protetta dal suo lavoro. Non ci sono deduzioni è tutto chiaro. Il mito ha un eroe irraggiungibile e dalle virtù inimitabili. Il finale è in genere triste. La fiaba ha un linguaggio di fantasia, chiaro e rassicurante. Non ha un palese intento morale, ma una struttura che permette l’elaborazione di situazioni psicologiche che l’essere umano si trova ad affrontare. La storia che propone permette un percorso che ha valore significativo tale da essere sperimentato come esperienza reale. Il bambino è consapevole della dimensione fantastica, ma sa che l’esperienza è reale e la fa sua per maturare un valore di senso. Così riesce ad entrare in confidenza con le pressioni caotiche dell’ES e ad ordinare le sue pulsioni emozionali e le relazioni con il mondo esterno. Con il gioco della dualità può cominciare ad accettare la doppia natura che è in lui e nei suoi affetti. La mamma è buona, ma a volte è cattiva. Questo è inaccettabile per il bambino. Così come sono inaccettabili i due sentimenti di amore e di odio. Come può odiare la mamma che ama. Nelle fiabe c’è la matrigna cattiva, e la madrina buona, una fata sempre più forte della strega. La nonna posseduta dal lupo che viene ucciso dal cacciatore. Lo spirito cattivo che ha rapito la persona buona e ne ha preso il posto, finquando non sarà scoperto e sconfitto. Così si può odiare la mamma cattiva, perché non è la vera mamma, e si può accettare questo sentimento diretto su una persona che è un’ usurpatrice. Anche con se stesso il bambino elabora la presenza di due persone, quando c’è qualcosa di lui che non riesce ad accettare. Ad esempio quando fa la pipì a letto. Non finge che sia stato un altro, lo crede davvero perché non accetta la situazione. Con questo stratagemma può vivere questa situazione senza restare schiacciato dalla vergogna. Se ne libererà da solo quando avrà raggiunto sufficiente sicurezza.
Nelle fiabe i personaggi son anche chiaramente caratterizzati, senza ambiguità. Così che ciascuno incarna una caratteristica nella quale il bambino può identificarsi. Ed attraverso questi comprende la esistenza del bene e del male, senza ancora sapere della coesistenza in ognuno di noi. Una coesistenza che non sarebbe in grado di comprendere. Tutto ciò che non si comprende produce caos.
Continua.