mercoledì 13 ottobre 2010

Le fiabe, uso, importanza e significati

Introduzione all’uso delle fiabe per crescere bene i figli.
Un giorno conversavo con un amico. Raccontò la paura per i cani, di un suo figlio. C’era stato un episodio che lo aveva spaventato; questo spavento non lo aveva più lasciato. Suggerii di raccontargli una fiaba. Avevo visto applicare il racconto, per aiutare i bambini a superare le paure, ma soprattutto per imparare a relazionarsi con il mondo che li circonda. Il mio amico già raccontava storielle al suo piccolo, da lui stesso inventate, ma non aveva mai pensato di strutturarne una apposita, per aiutarlo a superare una paura. Quando lo rincontrai, mi gratificò sapere che il metodo ebbe funzionato. Il piacere per aver dato un buon consiglio, mi spinse a regalargli il mio volume de “Le Mille e Una Notte”, una famosa raccolta di fiabe orientali.  Essendo il mio amico un padre, non conoscendo la raccolta, cominciò a chiedermi se il contenuto fosse adatto. Ma soprattutto, mi fece la domanda da un milione di dollari: - A che servono? -.  Mi resi conto che non ne sapevo abbastanza per dare una spiegazione. Quando una cosa nessuno te l’ha insegnata, non la sai. Questa è una regola di vita, che ho imparato col tempo. Cadiamo tutti nella trappola di credere di essere nati imparati. La trappola speculare è di credere di sapere tutto, perché si ricopre un certo ruolo. Comunque, non avendo dato al mio amico una spiegazione chiara, il mio volume sta collezionando la polvere di casa sua.
Per corrispondere alla mia regola, nel frattempo mi sono documentato. Ho letto il saggio sulle fiabe del prof. Bruno Bettelheim “Il Mondo Incantato” [Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe] (ed. Universale Economica Feltrinelli, pgg. 297, € 8,50). È un testo divulgativo, comunque richiede il suo tempo di lettura e di comprensione. Ho pensato di scrivere una sintesi introduttiva, da condividere in rete, per stimolare la conoscenza dell’importanza delle fiabe nel crescere i figli. Ma non solo. Da questa lettura ho compreso meglio alcuni dei meccanismi che determinano il nostro comportamento di adulti. Così ché il contributo di questa esperienza di lettura è stato duplice. So spiegare l’importanza delle fiabe, comprendo meglio i miei comportamenti da adulto.
Si tratta di una sintesi, quindi i concetti sono appena tratteggiati. Inoltre ho cambiato l’ordine espositivo. Ho scritto come se volessi spiegare in una conversazione al tavolino di un bar, con un linguaggio che esprimesse anche una certa emozione di gratificazione nel dare una spiegazione. L’ordine delle idee segue il filo delle possibili domande di un interlocutore. Ad iniziare da quella che ha fatto partire tutto:
- A che servono? –
Le fiabe sono fondamentali e determinanti. Due sono i sistemi per educare ed aiutare a crescere un bambino fino alla maturazione adulta. Sono le fiabe ed il gioco. Ed un gioco particolarmente efficace è la drammatizzazione delle fiabe. Inoltre l’adulto ha un impatto determinante sulla formazione così, leggere le fiabe al proprio figlio genera un legame di alleanza molto speciale. Più forte se vi partecipano entrambi i genitori.
So per esperienza, che appena si dice a degli adulti quel che devono fare, si ritraggono di fronte all’impegno da assumere. Ed ora sono capace di capire meglio il perché. Dico allora, che leggendo si comprende che questa esperienza è utile anche ai genitori, per ripercorrere e rielaborare le tappe della loro formazione. Insomma, aiuta l’adulto a migliorare se stesso; non semplicemente nel ruolo di genitore, ma, fondamentalmente, nella sua struttura di persona.
L’esperienza di raccontare riguarda chi ascolta e chi narra.
Possiamo raccontare qualunque cosa?
No. Il concetto è no. Le fiabe son le fiabe. Ma prima capiamo un concetto, chi è il bambino? Forse, chi li alleva sa già molto. Ma forse non sa tutto. Per esempio che il bambino non ha capacità di elaborazione razionale. Quel che segue è molto interessante. Il nostro cervello si sviluppa per gradi, sia psicologicamente che strutturalmente. Da zero a dodici il cervello ha delle fasi di formazione strutturale. Fintanto questa evoluzione non si è compiuta, è inutile pretendere delle perfomance che non può compiere. È determinante il tempo. Fin qui, forse, è il molto già noto. Ci aggiungo che in questo fase evolutiva, per raggiungere una buona maturazione psicologica, è fondamentale il contenuto delle esperienze che si compiono. Le esperienze umane non sono solo quelle reali. Anzi, primarie, ovvero che devono venire prima perché sono determinanti, sono le esperienze dell’intelletto. Sappiamo tutti che di fronte alla stessa situazione distinte persone, reagiscono in modi diversi. Dipende da ciò che abbiamo in testa. Che dipende da come il cervello ha elaborato le informazioni sul mondo esterno e sulla personalità dell’individuo. Il bambino è egocentrico, perché capisce (badate al significato dei verbi) il mondo partendo da se stesso. Il resto gli ruota intorno, o dall’esterno o dall’interno. Per capire, usa il suo sistema di pensiero, che non è astratto. Non capisce concetti. Esempio. Tiriamo in ballo il famosissimo Piaget ed avvaliamoci di You Tube. Piaget ha spiegato che il bambino (fino a dodici anni, ficchiamoci in testa l’arco temporale), non ha i fondamentali concetti di astrazione. In relazione alla Quantità, non comprende la Permanenza e la Reversibilità. Su You Tube ci sono filmati che lo mostrano. Un bambino non comprende che la stessa quantità di liquido è bassa in un contenitore largo e alta in uno stretto. Così non comprende che un pezzo di creta suddiviso in tante palline costituisce la stessa quantità.
Interessante, ma che significa?
Significa che la struttura celebrare ha un suo sistema di comprensione che se non lo conosciamo non possiamo comunicare informazioni significative. Le spiegazioni dirette e razionali i piccoli le sanno ripetere a memoria, ma per loro non significano nulla. Anzi significa che non sappiamo aiutarli a capire. Questo genera ansie, direi reciproche, e separazioni.
Allora?
Per parlare ai piccoli, dobbiamo usare il loro linguaggio, nel loro sistema. Acquisiamo ancora due informazioni. I bambini sono animistici. Credono che anche cose e animali hanno un’anima, non solo gli umani. “La porta mi ha urtato”, perché non comprendono di poter urtare una porta per farsi male. L’altra informazione è che non comprendono il dualismo. Come fa la mamma ad essere cattiva e buona? Questo non è possibile per la loro struttura celebrale. Allora, si tratta di due persone diverse. La cattiva prende il posto della buona. Anche il dualismo interiore, finché il cervello non è maturo, è impossibile (ripeto impossibile) da comprendere. Desidero mangiare i biscotti, insieme desidero obbedire alla mamma che mi ha detto di non mangiarli. Il bambino cattivo li ha mangiati. Non è una scusa, è la verità che possono comprendere. Voglio obbedire alla mamma, non posso essere stato io a disobbedirle.  Il bambino elabora la presenza di due persone, quando c’è qualcosa di lui che non riesce ad accettare. Un altro esempio quando fa la pipì a letto. Non finge che sia stato un altro, lo crede davvero perché non accetta la situazione. Con questo stratagemma può vivere questa situazione, senza restare schiacciato dalla vergogna. Se ne libererà da solo, quando avrà raggiunto sufficiente sicurezza.
Ora è più chiaro che le fiabe sono strutturate per questo modello intellettivo e ne hanno il linguaggio.
All’inizio ho esordito dicendo che non tutte le storie sono adatte. Vi sono fondamentali differenze tra fiabe, favole e mito. Per accenno, la favola ha un fine morale: “La formica e La Cicala” ci insegna che la cicala è perduta dalla sua allegria, la formica protetta dal suo lavoro. Non ci sono deduzioni è tutto chiaro. Il mito ha un eroe irraggiungibile e dalle virtù inimitabili. Il finale è in genere triste. La fiaba ha un linguaggio di fantasia, chiaro e rassicurante. Non ha un palese intento morale, ma una struttura che permette l’elaborazione di situazioni psicologiche che l’essere umano si trova ad affrontare. La storia che propone permette un percorso che ha valore significativo, tale da essere sperimentato come esperienza reale. Il bambino è consapevole della dimensione fantastica, ma sa che l’esperienza è reale e la fa sua per maturare un valore di senso. Così riesce ad entrare in confidenza con le pressioni caotiche dell’ES e ad ordinare le sue pulsioni emozionali e le relazioni con il mondo esterno.
Certo, di questo stiamo parlando. La crescita è l’elaborazione dell’Io e più del Super-Io, per ordinare il caos del subcosciente ES. Il principio di realtà, che maturando orienta il principio di piacere, per costruire una vita di senso. Questo è il progresso della maturazione psicologica, comprendere i significati di senso della nostra vita. La domanda esistenziale – Chi sono io? -, impariamolo, se la pone anche il bambino. Fintanto che è neonato, si percepisce e si “realizza”, nel rapporto fusionale con la madre. Sa di esistere quando la madre lo accudisce e lo tiene in braccio. Comincia a crescere e sperimenta la separazione, la nascita di un altro fratello (o sorella) e così via. Ha bisogno di capire il mondo intorno. L’uso che può e deve fare degli oggetti. La relazione da istaurare con le altre persone. I suoi comportamenti. L’adulto crede di spiegare perché apre la bocca e dice delle cose. Non ha un feedback e si inalbera perché non è capito. Forse dimentichiamo che non ci capiamo neanche tra adulti? Per i bambini comunque il sistema c’è. Sono le fiabe.
Vediamolo allora questo sistema. Per cominciare a capire, usiamo il confronto tra favola e fiaba. Più sopra ho citato la favola “La Cicala e La Formica”. La cicala passa l’estate a cantare e suonare, la formica sgobba. Sopraggiunto l’inverno, la formica si gode le sue fatiche, la cicala muore di fame. La morale è evidente e … soffocante. Guai a te se provi simpatie per la cicala. Se le somigli, per te non c’è speranza. Confrontiamo questo messaggio monitore, anche un po’ ansiogeno, con la fiaba de “I Tre Porcellini”. Per difendersi dal lupo, il più piccolo costruisce una casa di paglia, il mediano di legno, il più maturo di pietra. Le prime due il lupo le abbatte in progressione. Ma i due porcellini trovano un rifugio sicuro nella costruzione del più grande. Il lupo prova ad allettarlo per farsi aprire la porta. Non ci riesce. Elabora allora uno stratagemma e riesce ad entrare.  Ma finisce comunque sconfitto dalla furbizia del porcellino maggiore e sarà bollito.
Questa storia ci permette di codificare tutte le caratteristiche che ne fanno una fiaba. La fiaba ha un linguaggio di fantasia, chiaro e rassicurante. Non ha un palese intento morale, ma una struttura che permette l’elaborazione di situazioni psicologiche che l’essere umano si trova ad affrontare. Per poter crescere bene e maturare ordinatamente, dobbiamo sviluppare per gradi la fiducia in noi stessi. Dobbiamo conoscere le difficoltà che ci aspettano, ma prima, essenzialmente prima, dobbiamo avere la forza di affrontarle. Questa forza si chiama fiducia. La fiducia è la certezza che dopo la sopportazione delle prove il risultato sarà la vittoria. Il bambino non è consapevole che ci sono forze interiori che lo dominano. Guai se provassimo a spiegarglielo. Quest’idea lo distruggerebbe. Il nostro racconta mostra questa realtà, velatamente. Non dice che cosa va fatto, ma appassiona alla scelta migliore, proponendo i gradi. Il più piccolo dei porcellini è dominato dal principio di piacere. Costruisce la casa di paglia perché così ha più tempo per giocare. Quando arriva il lupo però non soccombe. Può rifugiarsi dal più grande. Un gradino superiore verso il principio di realtà. Quello non è abbastanza maturo, anche la sua costruzione di legno viene bruciata da lupo. Ma i due non soccombono, trovano rifugio definitivo dal più maturo. La sua costruzione è di pietra, non cede alle blandizie del lupo per fargli aprire la porta, lo vince in astuzia e lo bollisce, quando il cattivo animale riesce ad entrare dal camino.  La fiaba garantisce il lieto fine. Questo conforta per affrontare le prove della crescita. I fallimenti non fanno soccombere, ma ci fanno salire a gradini più alti. Non c’è nulla di male ad essere il più piccolo e il più sprovveduto, perché si cresce e si matura. Per quanto terribile e furbo, il lupo alla fine soccombe. Ed è un bambino a farlo soccombere.
Questa è la fiaba migliore che si può raccontare ad un bambino?
No. Assolutamente, togliamoci dalla testa la formula magica. Impariamo piuttosto queste regole. Raccontare fiabe è un percorso che va da tre a dodici anni. Ad un certo punto il bambino comincia a leggerle da solo. Le fiabe fanno fare l’esperienza psicologica per affrontare i diversi problemi. Diversi problemi, diverse fiabe. La scomparsa di un problema ne fa apparire uno nuovo. Si cresce. Ogni tempo ha la sua fiaba. La scelta la compie il bambino, l’unico che sa cosa gli passa per la testa. L’unico che sa quando ha veramente risolto la questione che lo assilla. Per cui, fino alla risoluzione, chiede il racconto sempre della medesima fiaba, che abbandona quando è passato ad uno stadio successivo.
Ecco che in questo schema “Le Mille e Una Notte”, rappresentano un percorso completo. Non è il ciclo migliore. Semplicemente è quello che ho regalato al mio amico. Quindi ve lo sottopongo. L’importante che si comprenda che la storiella moralistica, o di puro intrattenimento, non è significativa. Non serve. Le fiabe classiche, che poi altro non sono che la saggezza millenaria dei popoli, sono il vero sistema.
In seguito scriverò ancora di questo.   
 Arturo

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