Ho
visto Joker e Meraviglia
Ho visto Joker, si lo
hanno visto tutti. Insomma, quelli a cui piace il genere. Questi film che tu
dopo pensi un sacco di cose e quindi ti piace aver pensato. Volevo scrivere
qualcosa, il protagonista si chiama Arthur
Fleck, senza offesa per i Fleck, ma l’omonimia col mio nome è intrigante,
anche io mi chiamo Arturo. Dicono che non sia un bel nome, sciocchini, è
bellino, attenti a voi comunque. Il film è il mondo visto con gli occhi del
matto, si Arthur è matto, per via di certi maltrattamenti subiti da bambino.
Lui non ne ha memoria, ma la sua mente alterata ne è la conseguenza. Crede di
aver una missione nella vita, portare la gioia al mondo. La storia è nota,
Joker, Arthur Fleck, ha una risata spasmodica che è un sintomo del suo
disturbo, per cui ride anche fuori luogo, in un modo che non è divertente.
Ridere e mettere tristezza è peggio di una malattia è una tragedia, greca.
Eppure la sua grande consapevolezza è che la sua vita non è una tragedia, ma
una commedia. Squallida. Per renderla tragica, allora ci vogliono un poco di
morti ed un’insurrezione popolare che mette la città di Gotham a ferro e fuoco.
Su queste basi avrei potuto scrivere un bel po’ di cose, ma che cavolo, le
avevano già scritte altri! Insomma la rete è zeppa di recensioni dotte, che
sviluppano ogni aspetto di quello che il film propone. Quindi non c’era altro
da fare che rinunciare, con dispiacere ovviamente. Poi che succede? Mi imbatto
in un altro clown, in un altro pagliaccio, in un altro comico, che impersona
Arturo Meraviglia. Un altro omonimo. Un segno evidente del destino. Prima di
tutto alla faccia di quelli che non amano il mio nome, vedete se col vostro ci
fanno ben due film? Eppoi perché qualunque cosa scriva, che li associ, sarà
originale. Joaquin Phoenix per il suo “Joker”, Arthur Fleck, quasi
certamente sarà canditato all’Oscar. Alessandro Siani per il suo Arturo
Meraviglia no, ma la botteghino si prevede una bella soddisfazione con il suo “Il
giorno più bello del mondo”. Si sa i soldi non sono tutto, dopo che li hai
incassati. L’Arturo Meraviglia è proprio un bel tipo. Sfigato, altrimenti non
farebbe ridere, ma con la bella storia di sognatore. Il papà possedeva un
teatro, e “gli artigiani della gioia” divertivano il pubblico con la loro arte
circense. Le cose cambiano, i papà muoiono, i teatri accumulano debiti.
Tristezza hai voglia, ma non per Arturo, che nel cuore ha quel papà che gli ha
consegnato la prospettiva permanente del sogno. Oh, questa è facile. Un bambino
che non fa ridere nemmeno quando ride, da piccolo ha subito violenze. Un
bambino che nonostante una fila di debitori lunga chilometri ed una vita di
fallimenti in sequenza, mette una allegria nel cuore, che si trasforma in gioia
per tutte le cose che dice, che fa, che gli capitano. Questa è secondo me
potente. Uno ha avuto un padre che gli ha consegnato un sogno, Arturo
Meraviglia. Arthur Fleck, l’altro, ha
avuto una madre che lo ha esposto da piccolissimo a sevizie e abusi sessuali. Nella
sua follia convince il figlio di avere come missione, far felice il mondo con
la comicità. Il matto finirà per farne fuori parecchi. Il papà consegna ad Arturo
Meraviglia la stessa prospettiva esistenziale, la stessa missione, essere
artigiano di gioia. Glie la affida con
un grande abbraccio iniziale. A cui farà eco una spettacolare “buona notte” di
bambini felici nel gran finale. Che differenza può fare un padre. Aggiungo. Cosa
sognano poi i veri bambini protagonisti del film di Siani? Una famiglia, con
mamma e papà che li tengono nel centro. La gioia è contagiosa, come la tristezza
e l’odio. Arthur Fleck, matto, assassino, fa bruciare una città in rivolta.
Arturo Meraviglia cambia il destino di due orfani, contagia di allegria e gioia
amici e pubblico. Eppure vive in un teatro fatiscente, affoga nei debiti, la luce la prende attaccandosi ai
cavi di un semaforo, pertanto è intermittente, l’acqua dai tubi di una signora
che non si lava spesso, fintanto che non apre l’acqua nei tubi non scorre.
Antiborghese per eccellenza. Jocker, fa il clown, una cosa miserabile, si occupa
della madre, una cosa nobile, fintanto non scopre la verità del suo passato, fa
il cabaret, incontra una donna che potrebbe corteggiare, lo chiamano persino in
TV nel Talk Show dei suoi sogni. Ma nella sua testa c’è una musica metallica,
alienante, troppo triste da sopportare. Facile
dire la felicità te la da la famiglia, infatti non l’ho detto. La famiglia ti
può distruggere e consegnare al mondo un killer senza sentimenti, nemmeno di
odio, pura forza omicida. Oppure ti può donare un cuore talmente gioioso da
consegnare al mondo un “artigiano di gioia”. Joker e Meraviglia. Arturo, da
Napoli, che ha gli occhi che gli brillano di luce, e che fa ridere anche serio.
Arthur, da Gotham, che non trova mai pace, non trova mai il padre, non riesce
a dare gioia a nessuno nemmeno quando
ride. A tutti, pare, è piaciuto Joker, c’è da chiedersi come mai? Dal
botteghino sembra proprio che anche Meraviglia, Il giorno più bello del mondo,
stia piacendo. Come mai? Facile, mette gioia, contagiosa. Speranza, contagiosa.
Senso di comunità, contagioso. Paternità.
Il Cinema racconta
storie. Con le sue storie possiamo anche leggere il mondo. Tra Arthur e Arturo
c’è un mondo di differenza, si chiama padre. Per chi volesse, c’è ancora tanto
da scrivere.
Arturo Lanìa