sabato 21 ottobre 2017

Gianni De Angelis

                         Ciao caro amico,

come stai? Ho qualcosa da raccontarti. In questo momento ho proprio bisogno di un amico a cui scrivere. Sono un solitario dalla nascita. Conosco tante persone, ma non un amico a cui scrivere questo impasto di sentimenti ed emozioni che ho sul cuore. Posso scrivere nel mio diario, ma il bisogno di scrittura è premessa di condivisione. Scrivo quindi all’amico che vorrei avere. Ho messo il naso contro il vetro. Avrei voluto attraversarlo e raggiungere Gianni, arrivare al suo letto di ospedale, nella sua stanza in rianimazione. Gianni De Angelis, nella vita ha portato avanti la famiglia lavorando come informatore farmaceutico, anche se per via della sua laurea lui si è sempre presentato come farmacista. Sinceramente, quel mestiere lo proposero anche a me, risposi grazie no. Il mio carattere è quello che è. Mi ancora, dico bene così, a Gianni De Angelis un “ricordo base”. Il Signore mi ha chiamato a conversione dal mio ateismo nel millenocentonovantacinque. Ha usato uno strumento che si chiama Cammino Neocatecumenale, che da inizio ad ogni anno liturgico con un ritiro che si chiama “Convivenza di inizio corso”. Correva l’ottobre millenovecentonovantasei, in un posto dove c’era la neve, era gli ultimi anni delle quattro stagioni, Gianni De Angelis era il capo equipe che portava avanti quella convivenza, così chiama il Cammino i momenti di ritiro. Consegnò al mio cuore delle parole bibliche: - Cercai l’amore dell’anima mia, /lo cercai senza trovarlo / trovai l’amore dell’anima mia, /l’ho abbracciato e non lo lascerò mai! – Con queste parole Kiko Argüello, fondatore del Cammino Neocatecumenale,  musicò un brano del Cantico dei Cantici. Parole misteriose, che oggi mi portano a cercare la spiritualità del Carmelo. Poi l’annuncio kerigmatico: “Caritas Christi urget nos”, con il suo finale carico di patos, quella postilla alla fine di un contratto che offre una grande avventura: “Guai a me se non annunciassi il Vangelo”. La musica arricchì queste parole di una carica spirituale, di uno slancio e di un entusiasmo che mi avrebbero poi portato in seminario. Solo che la mia avventura è stata oggettivamente un disastro. La storia di don Maurizio Pallù, che in seminario entrò nel millenovecentottantotto,  la voce della sua testimonianza, missionario in Nigeria, rapito due volte in un anno, mi hanno impressionato molto. Abbastanza per capire che di fatto ho assecondato una certa pusillanimità. Sulle parole che mi consegnò Gianni De Angelis avrei potuto fondare tutta la mia vita. Parole testata d’angolo, così ingombranti che mai hanno permesso si potesse costruire altro su di loro. Ancora oggi mi interpellano. Grato per averle ricevute, tutt’ora nel duemiladiciassette. Ventidue anni dopo, grato ad un altro essere umano per delle parole. Nemmeno sue, bibliche. Guardo attraverso il vetro vedo la sua famiglia, ed il mio pensiero va al figlio che si sta precipitando da Milano. Osservo il gruppo della elite dei suoi amici, un medico, un dirigente regionale, un direttore sanitario, sono quelli che hanno potuto passare la “dogana” delle guardie giurate. Gianni De Angelis è ricoverato per una terribile caduta, a seguito della quale ha un ematoma di sette millimetri e fratture multiple, il cui elenco da i brividi come un film horror. Da ragazzino frequentò la parrocchia, poi il suo parroco, don Antonio Rotondo, buon anima, lo introdusse nel Cammino Neocatecumenale, correva l’anno millenocentosettantotto. Una novità pastorale, dal sapore elitario, che insieme ad altri ha governato fino ad oggi. In una parola, si può ben dire, oltre a lavorare, ha passato tutta la vita ad evangelizzare. Come si trova in questo dramma? Alle quindici e quindici ha fatto circolare tramite Wathsapp un video da –Bel Tempo si spera- di Tv 2000, con l’intervista ad Antonio Balestrieri il marito di Lina Cutaneo, la sorella del Cammino Neocatecumenale, rimasta vittima del terremoto di Ischia. Una profezia ed una chiave per leggere la storia. “Guai a me se non annunciassi il Vangelo”. Guardo oltre il vetro che mi separa dall’anticamera della sala di rianimazione. Due settimane prima sono entrato nel reparto di terapia intensiva da don Antonio Carbone, vittima di un incidente stradale. Pochi giorni prima è salito al cielo. Tenevo Gianni aggiornato di ogni cambiamento, chiedendogli preghiere. La sera precedente, in una liturgia comunitaria, ha pregato proprio per l’anima di don Antonio Carbone. Vorrei passare quel vetro, attraversare i suoi amici di tutta la vita, attraversare persino la sua famiglia e raggiungerlo al suo letto. Vorrei, come ho fatto con don Antonio, infilargli un’immagine della Madonna che Scioglie i Nodi, tanto cara a Papa Francesco, sotto il suo cuscino. In mezzo a quei suoi amici, che si conoscono da tutta la vita, non sono nessuno. Ho solo tanta gratitudine nel cuore, per delle parole. Solo per delle parole, di ventidue anni fa. Tra me e quel letto c’è troppa gente. Amici di una vita, professionisti, farmi strada li in mezzo è difficile. Stacco finalmente il naso dal vetro. Guardo al cielo. Tu solo Signore sai bene con quanta pochezza ho trattato il tuo annuncio. Mi trema il labbro se penso che ancora mi rivolgo a te. Dopo tanti anni rimango uno spudorato. Volevo essere prete e missionario per le parole che mi consegnò Gianni. Né la prima intenzione né la seconda mi è riuscita di realizzare. Ho sbagliato,  ne pago le conseguenze. Ma su quelle parole ho indirizzato tutta la mia storia e con esse morirò, in un modo o in un altro. Pertanto, per avermi guadagnato a te, ti prego per Gianni De Angelis, che già con un nome così, hai stabilito per lui un programma. Ti chiedo di abbracciare lui, la moglie Cristina, i suoi figli, che ha messo al mondo per amore tuo. Ti prego dal profondo del cuore, e Tu sai bene come sia capace di essere riconoscente. Nella sua vita avrà fatto migliaia di elemosine, ma credo che nessuno dei beneficiati lo ricordi. Per quelle parole, nemmeno sue, che mai avevo sentito prima, lo benedico dal profondo del cuore. Accetta Signore mio, questa gratitudine come una preghiera. Concedile di salire a te come incenso. Abbraccialo a te. Abbraccia a te la sua famiglia. Abbracciali tutti Gesù, per aver fatto conoscere il tuo nome tra le genti. Te lo chiedo con il cuore colmo di gratitudine. Sia per te incenso profumato.
Ecco, se avessi un amico a cui scrivere, gli invierei questa lettera. Allora Gesù, posso scriverla a te?

                                                                                                                          Arturo Lania


giovedì 5 ottobre 2017

Ammore e malavita

Ammore e malavita

Ho scritto questa riflessione per una mia amica e mi fa piacere farne una condivisione.

Ieri sono andato al cinema a vedere un bel film: _Ammore e Malavita_. Uno spettacolo gustoso e divertente: una commedia _noir_ ben riuscita. Nel finale i due killer, amici fraterni, Ciro e Rosario, che si sono trovati nell’intreccio della storia su fronti contrapposti, si affrontano nel duello finale. Che è fatto di parole e di canzone, anche se alla fine uno dei due muore. La scena è veramente stupenda. Rosario rivendica il diritto a vendicarsi: amici morti che gli premono sulla coscienza, patto di lealtà col boss, si sente ferito da Ciro che ha tradito il clan “ _pe’ l’ammore ‘e ‘na femmena_ ”. Ciro, killer freddo e altrettanto spietato di Rosario, rivede la sua storia. Orfano di padre, ucciso da malavitosi. Adolescente, trova una famiglia nel clan che lo addestra a uccidere, per difendere il boss. All’amico Rosario ricorda: << _i morti sono morti_ >>. Quelli che lui chiama amici, hanno vissuto la vita che si erano scelti, una vita schifosa con un finale schifoso. Loro due, invece hanno l’opportunità di essere liberi da quelle catene. Con il canto, dice in una strofa: “ _‘Stu viento tene ‘o sapore da’ libertà_ ” Ed a questo punto fa un ragionamento che mi resterà impresso per sempre. Cito a memoria: << Per chi vuoi morire? Per chi vale la pena morire? Per un boss che ti ha sempre mandato a morire per i comodi suoi? Ne vale la pena?>>. Più o meno aggiunge: <<L’amore è l’unica ricchezza vera per cui vale la pena vivere>>. Si tratta di una commedia, la retorica serve un poco a ridere, un poco alle emozioni, un poco anche a far finta di pensare. Però le parole sono sollecitazioni e mi è venuto in mente *monsignor Bruno Forte* : << _Io ripeto spesso un proverbio napoletano che dice così: "Se po’ campà’ senza sapé’ pecché, ma nun se po’ canpà’ senza sapé’ pe’ chi", che significa: "Si può vivere senza sapere perché, ma non si può vivere senza sapere per chi_ >>.  Così quella scena finale del bel film, è un cameo della memoria. Buttare la vita senza sapere per chi morire, avere qualcuno per cui morire. Ciro ha rischiato tutto per amore. Il riscatto esistenziale, non un amore qualunque, ma un amore per cui essere disposti a morire. “ _Con il vento che porta il sapore della libertà_ .” Il vento non è forse segno dello Spirito? Nel film forse tutto questo non c’è, o forse sì. Gli autori mettono nelle storie i segni delle proprie esperienze. Incredibile il numero di personale dello spettacolo, dagli artisti, agli autori, ad altre figure, che si sono formate negli oratori ed è in quelle esperienze che hanno trovato la loro vocazione. Pertanto che scherzando, scherzando, i  Manetti Bros,  Marco e Antonio,  abbiamo messo lì, nel loro copione,  qualche battuta che echeggia chissà il catechismo, oppure nemmeno gli sia passato per la mente, per ora non posso saperlo. Ma di certo la scena tra Ciro e Rosario lascia spazio a questa riflessione. Fissa, ridendo, ridendo, questo concetto, *vale la pena vivere se si ha un amore per cui morire* . Per me cattolico, pensare a Gesù, a tutti quelli che per Lui danno la vita nell’evangelizazione, nella testimonianza, nella preghiera, nel martirio, mi viene naturale. Per dire cosa? Per dire che questa vita cristiana offre davvero tutto quello che l’uomo cerca nel profondo del suo cuore. Anche in film per ridere: ridendo, ridendo il cuore può aprirsi a preziose verità.
                                                              Arturo Lanìa



venerdì 1 settembre 2017

Le dieci vergini

Le dieci vergini

Sinceramente, nella vita vi sarà capitato di trovarvi di fronte ad un ventaglio di scelte, sapendo che qualunque cosa avreste fatto certamente avreste sbagliato? Se mai vi è capitato, vi è impossibile sapere cosa vi siete persi. Una gamma di emozioni pazzesche. Al contrario può esservi capitato, o quanto meno di conoscere delle persone, che qualsiasi cosa avrebbero scelto avrebbero scelto bene. In una parola, impossibile sbagliare. Se l'esperienza non è personale, ma riguarda altri, generalmente sono tipi che si perdono di vista per un poco di anni. Poi li rivedi e fai fatica a capire come abbiano potuto sbagliare. Come dire, l'errore nell'elenco delle opzioni era assente. Da dove lo hanno preso? Il Vangelo di oggi, quello delle dieci vergini, mi fa pensare. Per quelli che volessero leggerlo ricordo che è un brano di Matteo, capitolo 25, dal versetto uno al tredici. Racconta di uno schema di vita a prova di errore. Dieci vergini, tutte destinate ad uno sposo, immagino un principe. Tutte e dieci pronte. Tutte vanno incontro allo sposo, tutte, come l'usanza, hanno preso le lampade. Lo sposo tarda, per tutte e dieci. Insieme si assopiscono e si addormentano. Un grido annuncia l'arrivo dell'atteso, tutte e dieci lo sentono. Si svegliano tutte e si preparano. Prendono le lampade, ma solo cinque hanno pensato a portare l'olio. Altre cinque, ne sono sprovviste. Che sceme. Infatti sono le vergini stolte, che per contrasto fanno meritare alle altre l'aggettivo di sagge. Datecene un poco del vostro, chiedono le sceme. Impossibile, mancherebbe anche a noi, la cosa migliore è che lo andiate a comprare. Giustamente si esprimono così le altre.  Senza la lampada accesa, niente accoglienza dello sposo, niente matrimonio. Ed ecco che le sceme, da quando potevano solo far bene, ora qualunque cosa sceglieranno, possono solo sbagliare. Infatti, mentre vanno a comprare l'olio, lo sposo arriva e restano escluse dal matrimonio. Pensiamoci un attimo, quanto olio può servire ad una lampada? Una boccetta. Per la sbadataggine di lasciar perdere di farne scorta, sono passate in un istante da una vita ben riuscita ad un fallimento. Lo scrivo senza fare il saputo, a me è successo. L'esperienza conta. Le care sagge mica sanno come andranno le cose. Altrimenti avrebbero suggerito alle altre cinque di fare come loro. Al contrario tacciono su questo, in quanto agiscono semplicemente secondo natura o meglio, come le hanno educate a fare chi le ha formate. L'orario di arrivo dell'amato sposo è sconosciuto anche a loro. Trattandosi di una boccetta sanno bene che è impossibile condividere l'olio e credono di dare un buon consiglio: andate a comprarne e tornate. Sarà un’esperienza per tutte scoprire che l’arrivo del principe sarebbe stato repentino, soprattutto tenuto conto dell’attesa a cui le aveva sottoposto il ritardo. Sappiamo tutti che è proprio così. Le cose nella vita che sembrano non debbano accadere più, poi accadono all’improvviso. Se le cinque sceme avessero avuto il buon consiglio di una che era stata scema prima di loro, sarebbero convogliate a nozze tutte e dieci. Dunque la partita della vita si gioca con una semplice boccettina d’olio. Mi pare proprio il caso di dire, è Vangelo. Così faccio appello a tutti i genitori, i professori, i formatori di qualunque tipo, di informare, i giovani in particolare, di questa conoscenza, di questo si tratta. Di andare incontro alle tappe fondamentali delle propria vita, muniti della boccettina d’olio. Cosa possa essere, ciascuno lo sa. Tralascio di fare gli esempi dei casi miei, per evitare di rendere barbosa questa riflessione: se avessi… Quello che è fatto è fatto. Propongo qualche generalizzazione. Cambiamenti di atteggiamenti, lavoro per migliorare delle convinzioni, abbandono dei soliti errori. Umiltà per aspettare, ragionevolezza per inquadrare la situazione. Aggiungerei qualche buon consiglio a cui attingere. Per non dire di quanto imbrigliano gli attaccamenti a certi vizi. Stamani riflettevo cu certi casi di avarizia che ho conosciuto. Si pensa sempre che l’avarizia sia un atteggiamento conservatore. Al contrario è come il buco in un secchio. Fa perdere di valore quello che si possiede. L’avaro la boccetta l’avrebbe lasciata a casa, per non sciuparla, lo scemo. L’avarizia deprime i valori della vita, affetti, amicizia, stima. L’olio che si possiede evapora. Temo che i giovani di oggi li stiano formando da avari. Da ragazzo se portavo gli amici in pizzeria per il mio compleanno pagavo per tutti. Oggi si usa che ognuno paghi per se. Questo è un fatto antropologico. Ciascuno è abituato a pensare solo a se. Al contrario la vita richiede che si impari a pensare all’altro. A come andargli incontro. Tutte le religioni insegnano questo, persino quelle laiche. Lo fanno semplicemente in quanto è così. Pertanto la storia delle vergini mette a disposizione una necessaria informazione. La boccetta d’olio è indispensabile, la lampada deve restare accesa, altrimenti la vita si ferma. Poi chi non lo vuole capire è libero. Gli scemi ci sono sempre. A me piace aggiungere un seguito alla storia raccontata da Matteo. Tre delle cinque vergini passeranno il resto della vita a piangere e recriminare su come sono andate le cose. Caso mai accusando le cinque fortunate di essere state tanto crudeli da non aver voluto condividere. Poi moriranno. Due invece, tornate a casa guarderanno la boccetta d’olio e si renderanno conto che di essere state proprio delle sprovvedute. Così si risolveranno di dedicare la vita a preparare altre vergini, avendo cura di insegnar loro l’importanza della piccola boccetta. Così saranno felici formando altre alla felicità. La loro vita sarà una missione e il loro operato la più preziosa grazia per le giovani fanciulle che per sempre le saranno grate. Quando moriranno tutti le rimpiangeranno, e il racconto del loro servizio sarà passato di generazione in generazione come esempio. Guardate bene, che nella vita vera le cose vanno proprio così.
                                                                  Arturo Lanìa


giovedì 31 agosto 2017

Quo vadis? Per queste strade familiari e feroci

Quo vadis? Per queste strade familiari e feroci
Ogni lettore sa che per quanti libri possa leggere nella sua vita, ce ne sono due di cui si innamorerà per sempre. Li ama talmente tanto, che qualunque forma di pensiero possa mai elaborare, le prime idee li attinge sempre da lì. Gli stanno in testa, come il ritornello di una canzone. Solo che il ritornello passa, i libri no. Così è anche per me. Sottolineo subito una singolare coincidenza. Sono un camminatore. Mi piace passeggiare, da sempre, persino da piccolo. Se mai si guadagnasse camminando, sarei quanto meno benestante. Date le mie scarse finanze, be’ sì è possibile che sia più un’attività da sfaccendato. Vero è che di tesori ne ho messi da parte. Sono le storie che incontro durante le mie passeggiate. In ogni caso, se il verbo che regge questa mia passione è “camminare” e i libri della vita sono “Quo Vadis?” e “Per queste strade familiari e feroci” la singolare coincidenza si nota subito. Per non dire che i due titoli, sembrano l’uno la risposta alla domanda dell’altro. Mi fa pensare che nella vita ci sia sempre una logica, una coerenza. Solo che per vederla c’è bisogno di mettere uno accanto all’altro i vari elementi. “Ė l'invisibile che rende esperti e sapienti, non il visibile”.  Henryk Sienkiewicz nel suo romanzo mette davvero tanta gente. Se avete visto il film, non è possibile capirmi, scusatemi, ma è un polpettone. Il libro al contrario è coinvolgente, bello, emozionante, mi ha stimolato a pensare. Due personaggi in particolare sono diventati per me paradigmatici. Crispo. I lettori sanno che sul piano della narrazione è un non protagonista. Eppure è tanto importante. Severo, austero, pensa solo al peccato e se potesse metterebbe a bacchetta anche Pietro. Nonostante sto’ caratteraccio è il “formatore” della dolce, buona, gentile Licia, che si innamora di un pagano. Il libro chi lo ha letto, lo ha letto e chi no, consiglio di farlo, è un vero piacere. Ma qui non è la storia che voglio commentare, ma un concetto. Nella prima comunità cristiana, come la vede  Sienkiewicz e come si può anche dedurre dalle lettere di Paolo, ci sono personaggi di tante personalità. Caratteri, idee, forse persino teologie differenti. Finiranno tutti sulla croce. Quindi se tutti martiri, tutti testimoni e santi. Crispo appeso alla croce resta fedele alla sua personalità e lancia invettive e rimproveri finché non spira. A tenerli insieme tutti, a guidarli, a ricordargli Cristo e il suo Vangelo è Pietro. Non senza doversi confrontare con personaggi come Crispo, ma anche con i problemi procurati dalla dolcezza di Licia e dal suo amore. Mica i buoni e i bravi non creano problemi! Hai voglia se li creano. Gesù con i suoi ne ha passate prima, durante e dopo. Il romanzo si chiama così, perché Sienkiewicz si immagina Pietro che fugge dalle persecuzioni. Lungo la via di fuga incontra Gesù che gli chiede: <<Quo vadis?>>. Insomma il fondamento della Chiesa nascente stava ancora imparando. Questo quadro è uguale ai giorni nostri. Ora io due lettrici ho, se mi metto a scrivere troppe cose, finisce che perdo anche loro. Mi limito solo a pensare a tutti quei cristiani cattolici che ce l’hanno a morte con il Papa. Per citare uno famoso, Antonio Socci, giornalista, autore di libri, antipapa Francesco sviscerato. Sul suo blog scrive ogni giorno <<che brutto Papa che abbiamo, brutto e cattivo>>. Insomma non gli piace. Al contrario di me, che medito tutte le parole di Papa Francesco, come una grazia per la mia vita. Siamo diversi nelle idee, mi pare evidente. Eppure a suo tempo pregai per la figlia di Antonio, apprezzai alcuni suoi testi, meno, certi interventi giornalistici, ma tutto è opinabile. Credo che vada a messa ogni giorno, preghi il Rosario e conosca il Catechismo. Come faccio a considerarlo diversamente da un fratello nella fede? Forse se discutessimo di politica, l’immigrazione per esempio, finiremmo per litigare. Politica, calcio, secondo me anche arte e cultura, sono temi che si prestano alla contrapposizione, quindi si può, anzi, si deve litigare. Ma se ci inginocchiamo entrambi davanti all’ostia consacrata, siamo inevitabilmente dalla stessa parte. Insomma Crispo, credetemi era davvero insopportabile, ma salì sulla croce. Ora basta tristezza e facciamo entrare in scena l’altro personaggio emblematico, il buon Petronio. Pagano, libertino, colto, ricco. L’idea di convertirsi nemmeno lo ha sfiorato. Una mia conoscenza, missionario in Giappone, una volta mi disse: <<La prima cosa che ho imparato è che il pagano è un uomo profondamente religioso e spirituale>>. Qui mi permetto di aggiungere, anche l’ateo. Lo sono stato per i primi dieci anni della vita adulta, posso ben dirlo. Petronio conosce l’amore ed è dotato di intelligenza e sapienza. Ama il nipote Marco, innamorato di Licia e lo aiuta in tutti i modi. Ama, nel senso suo, la sua schiava Eunice, che lo realizza nei sentimenti. Con l’intelligenza riconosce la follia di Nerone e i segni di un’epoca che tende al declino. Un personaggio speciale, sarà lui a salvare Marco e Licia. Nella Bibbia, ci sono due grandi pagani, chiamati servi di Dio. Ciro il Persiano e addirittura Nabucodonosor di Babilonia. Da Costantino a Mussolini, la Chiesa ha avuto tanti vantaggi dai pagani. Per non dire che gli amici sono stati fonte di guai e gli avversari, i non credenti, sono stati preziosi alleati. Penso proprio che chi volesse dedicarsi ad una riflessione alla ricerca di attinenze nel contemporaneo, praticherebbe un esercizio intellettualmente divertente. Pensare è un piacere. La storia di  Sienkiewicz ha anche altro da offrire, ma è venuto il momento di passare al bel romanzo di Ferruccio Parazzoli. Se non lo avete letto, difficilmente vi riuscirete, è fuori edizione e mai più ristampato. In breve è la storia di un prete, don Ennio, a cui piace passeggiare per incontrare storie. Qui, subito spezzo una lancia in mio favore. Dato che don Ennio non è ricco, ma nemmeno uno sfaccendato, eppure passeggia, allora è possibile dedurre che passeggiare non sia per forza attività da sfaccendato. Anzi, lo spunto è che sia uno strumento principe per capire le persone che abitano il quotidiano delle strade familiari e le difficoltà per gli accadimenti feroci che gli capitano. Ma anche altro. La complessità dei sentimenti, degli sviluppi esistenziali, del coacervo di contraddizioni che muovono e compongono la vita delle persone. Così incontra il prete missionario che dopo anni di missione ha perso il senso della sua vocazione e abbandona. Il prete che dopo anni di fabbrica ha trovato nella vocazione la strada di senso della vita. L’anziano prete che nella solitudine della povertà preserva integra la sua vocazione dell’infanzia. Poi ci sono quel mondo di laici in cerca di cose che non hanno nome o forma chiara, né luogo dove andarle a cercare. I giovani, le persone mature con le loro ferite, la giovane volontaria, di cui don Ennio si è innamorato, vittima di uno stupro. Personaggi per niente di fantasia. Conosco anche io missionari che hanno perso il senso della missione. Ne ho un elenco, ma uno in particolare lo cito. Un religioso carismatico, riferimento di tanti, soprattutto giovani. Mi dispiace non averlo più incontrato, spero che accada. Vorrei conferma, che con un altro ruolo, sta comunque lavorando ancora la buona vigna del Signore. Davvero un uomo eccezionale. Anche gli altri personaggi, nella vita reale li ho incontrati. Un sacerdote che era stato guardia carceraria. Un anziano prete che ancora regge una piccola cappella, tenendo viva una comunità. Dei giovani poi, credo non ho bisogno di citare i casi personali, meno che mai tutte le persone ferite, né raccontare le contraddizioni dei fatti della vita con le istanze di speranza della fede. Forse è giusto solo ricordare un fatto appena accaduto. Nel terremoto di Ischia,  la sorella Lina è morta per trovarsi sotto la chiesa, i cui calcinacci l’hanno mortalmente colpita, per essere andata a svolgere un servizio di preghiera. Donna socialmente attiva, madre di sedici figli. Davvero un accadimento stridente con la speranza. Eppure la sua vicenda ha acceso i cuori della fede anziché spegnerli.  
La mia conversione alla fede cattolica avvenne in età adulta, come detto, dopo anni di ateismo. Facile non è mai stato, né repentino. Poco a poco in me è nato un amore e quando c’è quello si va sempre avanti. Le difficoltà stanno nel comprendere il mondo e le persone che mi girano intorno. Frustano costantemente tutte le aspettative. I fratelli e le sorelle che incontro nelle chiese sono rissosi, mendaci, speso ipocriti, traditori, sparlatori, affaristi. Quando penso che una chiesa vuota è lo spazio migliore per credere, mi devo confrontare con i loro slanci di carità, di fraternità, di fede. Senza questi due testi qui accennati, non potrei capirli, non potrei tenere concettualmente insieme tutta la complessità, le contraddizioni che esprimono. Credo che nemmeno potrei capire i Vangeli, la loro connessione con la realtà, la loro funzione nella quotidianità, la loro possibilità di ispirare la concretezza. Nemmeno avrei capito Gesù, il suo camminare, anche lui, ho speranza che sia una buona attività anche per me, il suo incontrare, il suo seminare, il suo sorprendere, il suo continuo contraddire.
Oltre ai Vangeli per capire ho bisogno di letteratura. Questo mio sistema in realtà ho scoperto essere abbastanza diffuso. Potrei citare figure auliche, già sante, ma fa d’uopo mettermi in relazione con qualcuno di più normale.
Don Marco Pozza è un sacerdote molto noto grazie ai media. Da quello che si vede, sembra una persona speciale. Se non nel carattere, nel suo pensare assomiglia a don Ennio del romanzo. Don Marco una volta ha detto, sono incline ad essere un intellettuale ed ho bisogno della letteratura per capire il mondo. Una comprensione che gli fa scrivere libri, tenere un blog, fare conferenza. Ma anche, dopo anni con i giovani, servire oggi “i maledetti” del carcere di massima sicurezza "Due Palazzi" di Padova di cui è cappellano. Aspetta ancora Gesù. Per questa attesa, considera il tempo uno spazio di servizio e di crescita. Mica è possibile servire senza crescere. Si conquista la fede ogni giorno. Né amicizie, né circostanze, né le possibilità che gli da la vita, le considera sue, per il suo uso e consumo, ma opportunità di realizzare la chiamata. La sua natura è convulsa, attiva, fervente, forse nella realtà sarà anche pieno di contraddizioni. Ma combatte. La sua esuberanza al servizio della lotta. Per restare attaccato al Vangelo, usa la letteratura, a partire da Antoine de Saint-Exupéry, che oltre a “Il Piccolo Principe”, ha scritto altre opere, come “La Cittadella.  
Ora, come concludere sto po’ po’ di carrellata? Potrei dire “leggere fa bene”, tanto valeva scriverlo subito ed evitare lo sforzo di mettere su carta queste quattro sciocche riflessioni. Cosa dire allora? Mi viene questo. Il mondo intorno a me è incomprensibile. Nemmeno nella Chiesa ho trovato quell’ordine che ho sempre cercato. Eppure l’esperienza mi ha svelato che è dotato di un’invisibile coerenza, si muove lungo le traiettorie invisibili di un piano razionale. Dentro il coacervo di azioni ferine, si realizzano le opere di bene più belle, inaspettate e sorprendenti. Dividere le persone tra amici e nemici si è rivelato sempre una grande sciocchezza. Al contrario accettare che chiunque possa fare tanto del bene quanto del male si è rivelato il più infallibile dei pronostici. Al ché avere tra le mani un po’ di personaggi letterari a cui fare riferimento per capirci un po’ qualcosa, ecco ora sì, aiuta, aiuta tanto. Per cui me lo si lasci scrivere. Per un cristiano serve prima di tutto il Vangelo. Ma poi per capirlo occorrono davvero tante e tante storie con cui metterlo in relazione.
Viva Papa Francesco, eletto, come tutti i Papi, dallo Spirito Santo, che come si sa, soffia dove vuole.
                                                                           Arturo Lanìa


lunedì 28 agosto 2017

Mentalità

Mentalità

Poi uno dice a che servono i social? Servono, servono. Una cosa così la vidi a Londra, nel Central Park, dove c'era uno spazio dedicato a chiunque volesse dire qualcosa. Qualunque cosa. Sciocchezze incluse. Amo la Democrazia e un poco alla volta comincio ad apprezzare i social. Certo devo capirli meglio, cambiare la mentalità. A proposito. Conosco le storie di tante persone la cui vita ha avuto sviluppi dipendenti da un foglio lanciato in faccia, da un calcio nei fondelli. Poteva essere poi un viaggio verso il basso, invece hanno cambiato mentalità e ne è venuta fuori una bella storia. Senza fare tutto l'elenco, cito di un paio di persone. Uno è Beppe Grillo, sono grillino da quando ero piccolino. No M5S, no! Anzi M5S, bhooo! Ma Beppe è un grande. Così, nel vedermi il suo spettacolo ho appreso che da ragazzo, all'esame di stato lo umiliarono. Ignorante e con un diploma del cavolo. Una pessima partenza. Le opinioni su di lui, figuriamoci, sono tutte legittime, ma la sua storia, una bella parabola umana e professionale. Di fallimenti, racconta, dopo ne ha vissuti parecchi. La mentalità l'ha dovuta aggiornare di continuo. L'altro tipo è il buon Steve Jobs. Con lui ho avuto la solita lezione. Uno crede di sapere tutto, caso mai perchè ha sentito qualcosa in televisione, così si fa un'idea. Sbagliata. Se si parte da qualche notizia e la si impasta con le proprie opinioni, ne viene fuori sempre e solo una schifezza di pensiero. Ho visto un documentario su di lui. Mi hanno impressionato i suoi insuccessi. Due passaggi, poi, sono stati una vera scoperta. Nel 1985 Jobs fu cacciato dalla Apples, licenziato. Steve Jobs la fonda e poi lo cacciano? Dodici anni dopo la riconquista. Quella sconfitta lo amareggiò ancora per molti anni. L'altra scoperta, questa l'ho presa da Wikipedia, è la sua partenza nella vita. Figlio di un siriano e di una svizzera i suoi genitori lo danno in adozione. Brutta partenza, mi sembra? Eppure, la sua parabola è straordinaria, direi, storica. Quando lo colpì il cancro tenne il celebre discorso all'Università di Stanford, il 12 giugno 2005. Le sue parole sono ormai incise dovunque. "Il vostro tempo è limitato. Non sprecatelo a vivere la vita di qualcuno altro". Nello stesso discorso, come in tutti i discorsi che ha fatto, invitava ad essere creativi. Tradotto, significa non fate le cose nello stesso modo, aggiornate la mentalità. Bello a dire tutte queste cose, vero? Voglio aggiungere un fatto personale. Nella mia vita mi è capitato di veder crescere una coppia di fratelli gemelli. Dato che mi trovavo, ho dato un piccolo contributo anche alla loro formazione. Ho provato a dargli una mentalità. Uno dei due era più discolo, poco o niente responsabile, cose così, da bimbi. Ma non mi sembrava una cosa buona lo stesso. Così, dicevo, provai a dare qualche nozione di cambiamento. Ma ché, risultati zero. Un giorno ebbe un comportamento talmente inaccettabile che lo afferrai di peso e lo cacciai da un negozio dove eravamo entrati. Non dissi niente, lo cacciai fermamente in silenzio. Fermezza e silenzio sono un metodo, non avevo dato sfogo ad un momento di nervosismo, applicai solo un metodo. Credo che passò circa un mese prima che si facesse rivedere. Ora sono passati circa otto anni. Uno dei di due mi è molto affezionato, l'altro mi vuole bene. Indovinate chi? Per non dire che è un giovanotto posato, responsabile, educato. Scientificamente non si può dire niente. Quanti fattori possono essere intervenuti. Ma dato che di storie così ne ho sentite raccontare tante e lo ho viste, mi sono fatto una convinzione. La mentalità va costantemente aggiornata. Se vuoi dare un contributo a dei giovani, come a degli amici, una bella cosa è aiutarli a cambiare mentalità. So da una passata vita da giocatore, che quando si hanno tante buone carte in mano non significa nulla, l'esito della partita dipende solo da come giochi. Se qualcuno, oltre alle mie due care lettrici, che spero sempre di non annoiare, capitasse su questa sciocchezzuola che ho scritto, stavolta credo che qualcosa di buono può tirarla fuori.
La mentalità va aggiornata e se hai un amico che ti aiuta a farlo hai davvero trovato un tesoro. Ma i tesori vanno meritati. Se uno è attaccato alla sua mentalità e non vuole cambiare, seguirà la sua parabola. Come tutti. Allora, mi piace scriverlo, ci si vede nella prossima vita.

                                                                                                  Arturo Lania

martedì 22 agosto 2017

Don Tonino Bello - Dona coraggio alla tua Chiesa

Dona coraggio alla tua Chiesa, Signore. 
Che vada alla ricerca degli ultimi 
ovunque si nascondono sul suo territorio. 
Il loro nome è: moltitudine. 
I poveri vecchi e nuovi, 
i malati, gli esclusi, gli handicappati, 
i minori senza istruzione, 
gli anziani abbandonati, 
chi non conta più nulla, 
i ricchi che si sentono vuoti, 
gli sfrattati, i disoccupati, i dimessi dal manicomio, 
gli ex carcerati, i tossicodipendenti, 
coloro che hanno visto 
o fatto naufragare la loro famiglia 
e ora sono come rottami 
sbattuti dalla risacca.
Dona alla tua Chiesa 
di condividere la storia del mondo, 
di convivere con la complessità. 
Chiesa samaritana, 
lenisci le piaghe 
con l’olio della tua tenerezza. 
Mèdicale con l’aceto della tua profezia. 
Urla. Rivendica i diritti dei poveri. 
Mettiti al loro fianco con gratuità. 
Presta ad essi la tua voce. 
Non aver paura 
di scomodare i benpensanti, 
le autorità costituite, l’establishment cittadino. 
Saranno costoro i primi a ringraziarti 
per questa coscienza critica che promuoverai. 
Impegnati nelle molteplici forme di volontariato. 
Incoraggia l’obiezione di coscienza. 
Stimola il servizio civile. 
Crea un osservatorio permanente, 
capace di seguire le dinamiche 
della povertà e dell’emarginazione 
sul territorio. 
Promuovi una nuova cultura 
della solidarietà 
tra pubblica istituzione 
e forze del volontariato perché, 
al di là di ogni equivoco di concorrenzialità, 
si strutturi una organica continuità 
di servizi a vantaggio dei poveri! 
Non limitarti a sperare. 
Ma organizza la speranza! 
Signore, dona alla tua Chiesa di ripartire dagli ultimi. 
da Dio scommette su di noi. Pregare con don Tonino Bello, ed. Paoline 2013

Ius Soli e Papa Francesco

Ius Soli e Papa Francesco
Questo è un contributo per cattolici miti, che non hanno avuto modo di approfondire. Dovrebbero scriverlo i competenti, ma se vi accontentate, almeno uno spunto qui lo trovate.
Lo Ius Soli è il nome che la comunicazione politica ha dato ad un tema politico. Il tema è come considerare i figli di genitori stranieri nati in Italia? Stranieri o cittadini? La legge attuale li considera stranieri. La nuova legge è tutta da discutere. Le leggi sono un fatto politico, in politica ciascuno difende idee e interessi. Quindi nel dibattito i cattolici parteggiano per soluzioni diverse. Da cittadini, ragionano. Vero è che i credenti, dalla fede adulta, conoscono la Dottrina Sociale della Chiesa. In quanto cristiani credenti, vi aderiscono. Chiarisco, in termini ridotti, che la dottrina è ispirazione di principi e non di soluzioni. Le soluzioni di natura politica si formulano negli organismi statuali legittimi. È chiaro che dei cristiani cattolici favorevoli alla pena di morte o alla tortura è bene che rifacciano il catechismo a partire da quello per la prima comunione. Circa il nostro tema, cosa ha detto il Papa con il suo documento? Qualche pedante, ma utile precisazione. I documenti dei papi non sono tutti uguali, hanno una gerarchia di importanza e vincolo. Vero è che i discorsi pubblici dei papi contribuiscono a formare la dottrina. Se lo dice il Papa, vuol sempre dire che bisogna tenerne conto. Attenzione ora. Proprio per questo, qualunque documento pubblico di un papa, riformulo, tutti i documenti, di tutti i papi, sono soggetti ad un vaglio dottrinale. Appunto, la Dottrina è fondamentale e vincolante per tutti, papi inclusi. Quindi, ogni documento viene redatto, riferendosi pedissequamente alla Dottrina. Pertanto, guardando a quanto hanno scritto i predecessori. Per poter mettere a disposizione di qualunque lettore questi legami dottrinali, notate quante volte lo scrivo, qualunque testo pubblico di un papa, qualunque sia il valore gerarchico del documento, viene corredato di note. Scacciate la noia, con questi chiarimenti ciascuno può cimentarsi nella comprensione. Il documento in questione è un messaggio per la Giornata del Migrante del 2018. Mezza parola su questa giornata, si tratta di avvenimento di interesse politico internazionale promosso dalla comunità dei popoli, per fermarsi ogni anno a riflettere insieme sul tema. In realtà, è il modo per rendere pubblico gli esiti del dibattito tra i governi. Di certo qualunque Papa, piccolissima polemica, mai avrebbe scritto "buttateli a mare". Parliamo tra cristiani in modo cristiano. Papa Francesco ha un linguaggio innovativo, in grado di rendere semplice gli aspetti della Dottrina, che con linguaggi diversi sembrano solo formule astruse.  Anche le edizioni San Paolo hanno redatto un testo semplificato della Dottrina Sociale, si chiama Docat. Questa esigenza di rendere chiaro il messaggio della Chiesa è parte della missione di evangelizzare. Rendere comprensibile, in nessun vocabolario è sinonimo di cambiare, di trasformare o deviare. Infatti, la nota uno, del Messaggio di Papa Francesco, rimanda subito alla Costituzione Apostolica Exsul Familia di Pio XII. In cima alla gerarchia dei documenti, sopra le Costituzioni Apostoliche, ci sono solo le Encicliche. Abbiamo fatto un bel salto di valore. Così, tutte le note, che corredano  il Messaggio, rimandano a documenti passati che formano la Dottrina. La Dottrina Cristiana può solo essere a favore di processi di integrazione e fratellanza. Da qui l'errore o meglio la manipolazione. Come perseguire questo e con quali leggi, sta alla classe politica dei governi. I quali, per esseri chiari, stanno già discutendo di questo. Il documento di Papa Francesco tiene già conto di dove è arrivato il dibattito sul piano internazionale. Guardando all'Italia, sarà la rappresentanza politica ad elaborare le migliori leggi possibili. Ed i cattolici faranno la loro parte. Sapendo che la Dottrina parla anche della legittimità di vivere sicuri. Ma non voglio deviare.
Sintesi. Il  Messaggio è un documento indirizzato alla comunità internazionale. Ha un linguaggio innovativo, ma non introduce, né potrebbe, novità dottrinali. Sta ancorato alla Dottrina e tiene conto del livello raggiunto nel dibattito politico internazionale. Ci sono sicuramente principi cristiani a cui ispirarsi, vorrei vedere il contrario, ma non formule legislative.
Il documento per intero, per comodità, riporto il link dove trovarlo, insieme al link della sintesi di Avvenire. Ciascun cristiano adulto è chiamato a leggerlo e a formarsi la sua coscienza. Sul piano politico, cioè sul piano di come scrivere la legge per "i nostri cittadini non cittadini", ciascuno formulerà la propria soluzione. Magari litigando, ma non dite, quelli seri, che litighiamo per via del Papa. Se litighiamo, prendiamoci almeno la responsabilità di quello che facciamo.

http://m.vatican.va/content/francescomobile/it/messages/migration/documents/papa-francesco_20170815_world-migrants-day-2018.html

https://www.avvenire.it/papa/pagine/messaggio-del-papa-per-la-giornata-mondiale-del-migrante-e-del-rifugiato-2018

lunedì 21 agosto 2017

Vuoi vedere che un dio non c’è

Vuoi vedere che un dio non c’è

Ormai ci siamo quasi al 25 agosto. Che si commemora? Santa Patrizia, di cui a Napoli si conservano il corpo e il sangue, che si liquefa come quello di San Gennaro. A Napoli, già da molti secoli prima di Maradona il grande, si scuaglia ‘o sanghe dinte’ ‘e vene. Ma qualche secolo prima ancora, l’anno 79 dell’era cristiana, accadeva un fatto molto più straordinario. Dal 24 al 25 agosto spariscono Pompei, Ercolano e rasa al suolo è Castellamare. Tre ricche, floride, spensierate città romane. Un mattino la popolazione si svegliò per la “solita vita”, ma andò a dormire molto tardi per non svegliarsi proprio più.  - Avresti potuto sentire i cupi pianti disperati delle donne, le invocazioni dei bambini, le urla degli uomini: alcuni con le grida cercavano di richiamare ed alle grida cercavano di rintracciare i genitori altri i figli, altri i coniugi rispettivi; gli uni lamentavano le loro sventure, gli altri quelle dei loro cari taluni per paura della morte, si auguravano la morte, molti innalzavano le mani agli dei, nella maggioranza si formava però la convinzione che ormai gli dei non esistessero più e che quella notte sarebbe stata eterna e l'ultima del mondo. Ci furono di quelli che resero più gravosi i pericoli effettivi con notizie spaventose che erano inventate e false. Arrivavano di quelli i quali riferivano che a Miseno la tale costruzione era crollata, che la tal altra era divorata dall'incendio: non era vero ma la gente ci credeva. – A parte le mie due uniche lettrici, sulle quali conto, vi abbraccio, probabilmente nessuno altro leggerà questo, peccato. L’estratto della seconda lettera di Plinio a Tacito è un passo formidabile. L’autore è quello giovane, il vecchio Plinio è appena morto. Ha provato a portare i soccorsi alle due sfortunate città e da buon eroe si immola sull’altare dell’altruismo, con i polmoni pieni di anidride carbonica, di cenere e altro, si addormenta esausto sulla spiaggia di Castellamare senza svegliarsi più. Nel brano mi colpisce che in quel cataclisma c’è chi tranquillamente diffonde notizie false, come se le vere non bastassero per il dramma o come se occorresse un po’ di fantasia per diffondere paura, che da sola si spargeva sulle persone più velocemente della cenere. Poi, come non fermarmi sulla frase: - nella maggioranza si formava però la convinzione che ormai gli dei non esistessero più e che quella notte sarebbe stata eterna e l'ultima del mondo -. Proprio oggi c’è stata The Great American Eclipse, la grande eclissi americana, che coast to coast, come il tour di un viaggio di nozze, ha attraversato gli Stati Uniti d’America. La luna ha coperto il sole, immergendo il grande paese in un buio spettacolare. Dato che non muore nessuno, lo spettacolo fa pensare che un dio c’è, anziché lassù siano spariti tutti. La speranza che la notte passi e che il sole lo si possa rivedere fa una differenza decisiva per scegliere in cosa credere.
Nell’ultima settimana, la morte ha continuato il suo mestiere di alleggerire il pianeta da un po’ di presenze umane. Ma quando sono uomini a darle una mano per scegliere quali portarsi via, questo mestiere naturale fa orrore. Una catastrofe spaventosa è la guerra, che non ha mai un vero motivo, oggi nemmeno ci provano a fornirne uno. Puro odio. Una nube di cenere e lapilli sta portando il buio. - Avevamo fatto appena a tempo a sederci quando si fece notte, non però come quando non c'è luna o il cielo è ricoperto da nubi, ma come a luce spenta in ambienti chiusi. – Lo scrive sempre Plinio il giovane. Credo che il momento storico che stiamo vivendo, assomigli assai al buio di quella notte del 79 dopo Cristo. Con la nube di buio si diffonde la paura e la follia delle menzogne di quanti desiderano che la paura uccida, ancora prima che la vera morte arrivi. Da cristiano, in tempi così cupi, mi aspetto novene, rosari, tante, tante preghiere. Invece, tra cristiani cattolici, litighiamo. Accogliere, respingere. Ius soli, sole delle scarpe per calci in culo. Mi scuso, non sono bravo in latino. Fratelli, nemici infedeli. Ascoltiamo il Papa, quell’imbecille del Papa. E sì, siamo a questo punto. Il Vangelo, state calpestando la fede. Su un’espressione c’è unanime convergenza. In nome di Dio. Piace dirlo ad entrambi le parti. Sembra difficile crederlo, ma in un simile scontro c’è persino una terza posizione. Stare dalla parte degli ultimi e dei diseredati, senza credere per questo di essere araldo del Vangelo, interprete di Dio, custode di una vera Chiesa. Mi viene più da pensare a Plinio, il vecchio. Per l’età e per la panza. Non gli andava proprio di vederli morire e nonostante il cataclisma e il correlato maremoto, attraversò il golfo. Si riempì i polmoni di aria bollente e ceneri e sfinito, come ho detto, si addormentò. La miscela micidiale che si respira oggi è quella diffusa con il più potente mass media della storia, la rete. Fatta di odio, notizie false, manipolazioni, violenza.  Provare a riflettere, a capire, ormai è un esercizio possibile solo con la scrittura. Le persone sanno talmente tutto, che hanno la testa troppo piena per far muovere in esse i pensieri, far entrare le informazioni accertate, e mettere in circolo idee. Quando in questo buio diffuso, si accendono barlumi di speranza, la grigia cenere arriva repentina, come un coyote. Don Massimiliano Biancalani a Pistoia, parrocchia di Vicofaro, si occupa di migranti. Sulla sua pagina ha postato le foto di una giornata in piscina della comunità di africani assistita dalla sua associazione. Ha fatto il piccolo errore di scrivere sotto antifascista e antirazzista. Botte da orbi. La sua pagina è stata seppellita da migliaia di insulti. Anche dei cattolici, che sono gentili quando scrivono “sbruffone esibizionista”. Non chiedetemi che differenza passi dalla giornata in piscina di don Massimiliano e i miliardi di post di gente che mangia un gelato, prende il sole, o porta a spasso il cane. Va da se che è inutile rispondere. Allora forse è vero, la notte si è fatta così buia che persino gli dei sono spariti? Nella vita so una cosa, che nel buio la luce può arrivare da qualunque luogo. Così oggi, la rete è davvero una grande opportunità, ho trovato una storia, vera. Lei si chiama Ilaria Bidini, di Arezzo. Una donna straordinaria, a cui la paura, gli insulti, il buio, fanno l’effetto di un po’ di prurito che va via con una grattata. Ha trentuno anni ed è nata con una malattia che si chiama osteogenesi imperfetta. Mi fa paura solo il nome. Frena lo sviluppo del cinquanta per cento e si caratterizza per una fragilità delle ossa. Infatti Ilaria è piccolina, vive su una carrozzina, è fidanzata, ha mille interessi e vive pienamente la sua vita. Non ve lo aspettavate? Praticamente è una persona realizzata. Come racconta lei stessa, la deridono e la insultano sin dalla scuola. La crudeltà umana è incomprensibile. Ma a lei non importa nulla. Le piace vivere e vivere la sua vita, non quella di qualcun altro. - Io e la mia normale disabilità - è il titolo del suo libro. La chiave per affrontare tutte le avversità della vita l’ha individuata nella resilienza, la capacità psicologica di affrontare e adattarsi al cambiamento. I fessi che la insultano sono marginali, niente le impedisce di essere lei stessa una luce. Ha un suo canale YouTube e una sua pagina Facebook su cui fa del vero esibizionismo della forza di vivere e del suo magnifico sorriso. La sua malattia è come l’eclissi di sole, uno spettacolo della natura. Il buio arriva e passa, perché il sole non ha smesso di splendere. Con il suo entusiasmo viene più facile pensare che Dio c’è davvero. - Ritornati a Miseno, e preso quel po' di ristoro che ci fu possibile, passammo tra alternative di speranza e di timore una notte ansiosa ed incerta. Era però il timore a prevalere; infatti le scosse telluriche continuavano ed un buon numero di individui, alienati, dileggiavano con spaventevoli profezie le disgrazie loro ed altrui. Noi però, quantunque avessimo provato personalmente il pericolo e ce ne aspettassimo ancora, non venimmo nemmeno allora alla determinazione di andarcene prima di ricevere notizie dello zio. Plinio il giovane scrive così verso la fine del suo racconto epistolare. D’altronde davvero la natura ha appena colpito, mentre scrivo un terremoto si è verificato su l’isola d’Ischia. Verranno altre disgrazie. La razza umana sta praticando continui atti di sabotaggio alla sua pacifica esistenza. Lo sappiamo. Però mi piacciono le parole non venimmo alla determinazione di andarcene. Il giovane nipote desidera notizie dell’eroico zio, la cui memoria resterà affidata alla storia. Mi piace ispirarmi a questo rigo pensando che niente ci deve far venire alla determinazione di andarcene, prima dell’arrivo del sole. Non sappiamo se sorgerà sempre. Ma c’è tanto bisogno di una mano e chi ha voglia di darla ha disposizione tutto il lavoro che vuole. E finché ci saranno uomini e donne di buona volontà, finché don Massimiliano avrà il coraggio di navigare nel maremoto, finché Ilaria sorriderà durante l’eclissi, allora Dio ci sarà sempre. Il Dio vero, il Dio tra la gente.

                                                                                  Arturo Lania

domenica 13 agosto 2017

I Santi dicono sciocchezze

I Santi dicono sciocchezze

Che i santi dicano un sacco di sciocchezze è una di quelle cose che si danno abbastanza per scontate, tanto che non mi era mai capitato di pensarci in modo particolare. Ogni tanto in un’omelia o parlando con qualche altro credente o anche no, li ho sentiti citare. Ed anche io ripetendo la citazione che avevo sentito da qualcuno altro, la ripetevo, messa come il prezzemolo dentro la minestrina di qualche ragionamento superficiale. Alla fine sti’ santi, ma chi li conosce? Certo citarli da un tono, ma prenderli in considerazione, è un’altra cosa. Hanno voglia a ripetere che sono come noi, gente comune, gente qualunque. Ma chi ci crede? Come se in una scuola calcio ai piccoletti l’allenatore dicesse, tutti potete diventare Maradona. Ma non solo nella Chiesa si pratica l’assurdo sforzo di descrivere le persone eccezionali, come persone regolamentari. Le citazioni più famose, ricordo quelle di Verdi bocciato al conservatorio, Einstein rimandato in matematica e così via. Noiosissima pretesa di dare una motivazione ad impegnarsi con l’improbabile proposta di emulazione. Tornando ai santi, nemmeno negli ordini religiosi trovate gente interessata ad essere uguale al fondatore dell’ordine. Insomma, si citano, ma solo come formula letteraria, senza pretesa. Riflettere sul senso delle loro parole è un esercizio che nessuno pratica. A me capitò solo per caso. Dalle suore di Madre Teresa di Calcutta, che in realtà si chiamano Missionarie della Carità. Si ripeteva spesso la frase della santa:<<Gesù è nei poveri>>. Certo, in un altro ambiente, la frase mi sarebbe scivolata via come sempre, ma in un convento dove i poveri sono il senso stesso del luogo, o detto più direttamente, li vedi in continuazione, ‘sta frase nelle orecchie, non scivola proprio. Parliamo chiaro, ubriaconi, tossici, disadattati, litigiosi. Bestemmiatori! Li dentro c’è Gesù?! Quando lo prego, lo invoco, supplico un aiuto, questo è il Signore che dovrebbe aiutarmi? Nooo! Ti viene voglia dire, per lo meno, ma che sciocchezza! Così fu, per la prima volta feci i conti con una frase di un santo. Che poi manco conoscevo veramente. Al più, sapevo la storia della chiamata nella chiamata, che già così, pare la formula di una pubblicità. Senza girarci ancora attorno, cominciai a pensare che i santi davvero fossero un tipo di persone vissute in un loro mondo alieno, estranee completamente alla realtà. Se posso scrivere qui un trucco della vita, sempre meglio approfondire, prima di trarre conclusioni. Spesso quello che ci raccontano è completamente alterato rispetto al vero. Un giorno mi fanno vedere un video, di quelli che circolano solo nelle case delle missionarie, con una catechesi in lingua inglese di Madre Teresa. Seduta su una sedia, con alle spalle la parete ingiallita della casa di  Calcutta, due occhi grigi come un cielo invernale. La rivedo uguale mentre scrivo, sembrava fosse lì, seduta davanti a me. Sentivo una presa fisica alla bocca dello stomaco. La sua voce, quegli occhi, il suo discorrere, ero ipnotizzato. Ad un certo punto pronuncia la insopportabile frase: << Jesus is in the poor...>>. Restai di sasso, una frazione di secondo di delusione, come una doccia fredda.   Madre Teresa però continuò a parlare. Calma, profonda, dolorosa, orante. <<...and this is a great mystery in front of which we can only kneel>>. <<Gesù è nei poveri e questo è un mistero grande di fronte al quale possiamo solo inginocchiarci>>.  Tutto quello che è successo dopo, ha una dimensione personale e qui non trova lo spazio per essere narrato.  Ma è facile a tutti riconoscere che le due frasi sono totalmente diverse. Il significato che esprimono e la prospettiva spirituale che consentono di percorrere, sono chiaramente distinte. Fu quello il tempo in cui capii che di fatto la mia fede era un’accozzaglia di frasi stupide, citate da citazionisti, nessuno se ne abbia a male, ma se succedesse ve lo meritate. Ancora oggi le citazioni piovono. Una che si porta molto ultimamente, per polemizzare con Papa Francesco, è attribuita a Sant’Alfonso de’ Liguori: << Ne manda più all'inferno la misericordia di Dio, che non ne manda la giustizia>>. Se domandi chi fosse il santo ti rispondono pure, come non lo sai? Quello di Tu scendi dalle stelle. Un santo canzonettista, che dovrebbe mettere bocca sulla Misericordia? In coro, forza, è una sciocchezza! Allora perché lo citano? Per il titolo, santo. Papa Francesco abbia da apprendere, pensano i citazionisti. La frase, citata come una sciocchezza da far scivolare, lo scrivo io, in quanto mai si sa da dove vengono le sante frasi,  il nostro santo la scrive ne Apparecchio alla Morte. Un testo per aiutare i credenti a meditare, raccogliendo 36 considerazioni per vivere bene la vita cristiana. Il pezzetto di frase amato dai citazionisti, nemmeno è del santo. Egli cita un altro autore cristiano, per sviluppare una riflessione più lunga, in cui Sant’Alfonso spiega, che credere di vivere senza regole, convinti che tutto è lecito, è una follia, che ci fa sprecare l’esistenza. <<Egli usa giustizia. E con ragione; Dio perdona il peccato, ma non può perdonare la volontà di peccare>>, scrive subito dopo. Sant’Alfonso compose i due famosi, belli, in italiano e napoletano, canti di Natale, ma la sua vera vocazione fu il linguaggio della predicazione. E se come si dice, tanto dà tanto, con il nostro Papa sarebbe andato molto d’accordo. Sul portale del Vaticano si può trovare un testo, Il Paradiso di Dio è il cuore dell’uomo, dove Sant’Alfonso scrive: << Il vostro Dio sta sempre appresso di voi, anzi dentro di voi… Non v’è portiere per chi desidera parlargli; anzi Dio gusta che voi trattiate confidenzialmente con lui.>> Basta solo questo, per rendere evidente che la frase da cui sono partito ha tutto un altro significo nel cuore del santo, da quello per cui la si vorrebbe usare. Soprattutto si vede bene che “santo” non è un titolo a caso. Dietro le frasi c’è un percorso spirituale che vale la pena conoscere per intero. Ancora un esempio, si armi di pazienza il mio lettore. La mia Teresa. Confido qui la devozione che nutro per Santa Teresa di Lisieux. – La patrona delle missioni, senza mai essere uscita dalla clausura -. Piace a molti dire questo dettaglio. Senza sapere che in vita era madrina spirituale di diversi sacerdoti missionari, che si affidavano alla sua preghiera. Senza sapere il peso di sacrifici e preghiere che questo patrocinio comportava. – La santa della piccola via – Questa è l’espressione più amata. Certo anche Teresa la chiama così, lo so bene. Ma se è così piccola, intendendo semplice, cosa vi impedisce di praticarla? Ve lo dico io. Bisogna essere gente pronta a sopportare ogni cosa, nell’esercito si direbbe, gente dotata di vigorose qualità. Chi vuol capire, capisce.
Credetemi, approfondire è un’opportunità da cogliere ogni volta. Certo rende un poco aspri verso i citazionisti, che spesso sono sacerdoti, catechisti, infervorati fedeli, a cui piace citare senza curarsi di nessuno significato. D’altronde scagli la famosa pietra chi è senza colpa. Anche io citavo a casaccio. Nonostante tutto, qualche pietra a chi dico io la tirerei comunque. Ad ogni in modo, ai santi vengono fatte dire tante sciocchezze. Cose che non hanno mai pensato. In realtà anche con i vivi si fa così. L’errore di fondo è l’uso della citazione come sintesi. Tutti amano la sintesi. Non sanno che è per quelli che già conosco il tutto. In informatica si direbbe che la sintesi è lo zip di un file più pesante. Ma ci vuole un file intero da ridurre a zip, altrimenti è solo un documento vuoto, che vuoto resta. Ancora una volta devo sancire il cambiamento di opinione che ho maturato nella vita. I Santi ci lasciano un patrimonio di parole che posso completamente cambiare la nostra vita, svelandoci significati straordinari e proponendoci cammini esistenziali che restituiscono la bellezza di una vita ben spesa. Quanto meno per il piacer del viaggio da percorrere.
Anche io voglio lasciare qualcosa che resta, approfittando della permanenza di ciò che si affida alla memoria elettronica.
Saluto qui la mia unica lettrice certa, la carissima signora Rosetta, mia decennale amica. Forse un casuale altro lettore capiterà su questo documento e vi troverà il mio grato ringraziamento, che di fatto resterà nel tempo. Saluto tutti i santi, qui citati e quelli che ho incontrato e incontrerò nella mia vita. Siete gente speciale, non potrò mai imitarvi. Ma la vostra eredità di parole ispira la speranza, la preghiera, l’itinerario su cui ancora vivo il mio andare. Vi ringrazio di cuore. Ed un pensiero desidero lasciare ad una santa senza questo titolo ufficiale. Penso a te Carmen. Senza di te, non avrei mai conosciuto né la Chiesa, né tutti gli altri santi, meno che mai Nostro Signore Gesù. Dal cielo prega per me e per quanti ancora cercano il volto di Dio.

                                          Arturo Lanìa

sabato 12 agosto 2017

Dio c’è, ma mi odia

Dio c’è, ma mi odia.

Se digitate la stringa su Google, la troverete come citazione attribuita ad un certo cantautore italiano. In verità l’ho letta tatuata su un giovane turista, con tanto di genitori a seguito. Scritta di lungo, su un braccio, visibile d’estate, quando si indossano tshirt a mezze maniche. L’inverno manda in letargo anche i tatuaggi. Conosco tanti giovani, che troverebbero in questa frase la sintesi adeguata del loro rapporto con qualunque divinità creatrice. A dire il vero, anche diversi adulti. Con buona pace del cantautore trovato da Google, la dicevo anche io, da giovane. Forse per rabbia, ma mi sembra di ricordare che era più una sensazione melmosa, a tratti disgustosa, dell’esistenza. La vita ci mette molto del suo per smontare l’assioma di fede, la vita è un dono di dio e per questo ti ama. Se è un dono, spesso farebbe comodo poterla riportare al negozio per scegliere un articolo più soddisfacente. Chissà come sarebbe il mondo se in età preadolescenziale si potesse compilare un modulo per richiedere la vita che si vuole e vedersela consegnare man mano che si cresce fino alla sua piena realizzazione? Oh, pare ci sia gente a cui le cose siano andate più o meno così. La frase “era il mio sogno dall’infanzia e l’ho realizzato”, in televisione almeno, la sento dalla culla. Un’altra ancora più bella: “ho avuto fortuna, la vita mi ha dato tanto”. Allora è vero che si fanno preferenze lassù? A chi si e a chi no. Così per molti, l’idea che l’amore di questo dio, qualunque cosa sia, non è un granché, è abbastanza diffusa. Anche tra quelli come me, che sono credenti. Credenti poi in che cosa? Tra l’altro, per la fede cristiana, la questione non è affatto in cosa, ma in chi? Chi sarà mai questo Dio, che ci fa dono di una vita, che spesso vorremmo riportare indietro, per prenderne una nuova, fatta meglio? A leggere i Vangeli, questo Dio si è voluto fare uomo, in questo modo si è infilato in questa vita, che a noi non piace. Anche nei Vangeli si trova un sacco di gente fortunata, chi guarisce dalla lebbra, chi da un handicap, chi addirittura risorge. A fronte però ci sono tutti gli altri,  malati di lebbra che non risanano, i portatori di handicap che non riacquistano facoltà, i morti che restano nella tomba. Per non dire di quei discorsi così strani, circa l’amore per la povertà, per il prossimo e addirittura il nemico. “Ma mi faccia il piacere”, avrebbe detto qualcuno. Eppure di questo Gesù se ne parla ancora e circa questo Dio non sopisce il bisogno di confrontarsi. Avviene in quanto, per quelle parole strane, c’è chi si è occupato degli altri lebbrosi. Ieri l’altro, venerdì 11 agosto, il Pakistan si è messo in lutto per suor Ruth Pafau, tedesca, che ha lasciato l’eredità di 170 ospedali per curare la lebbra. Sul giornale Avvenire ho trovato una testimonianza che riporto, in cui  lei spiega la sua vocazione: «Il primo paziente che mi convinse a cominciare la mia battaglia fu un giovane afghano. Gattonava usando mani e piedi nel dispensario dove ci trovavamo, e si comportava come fosse normale che un essere umano strisciasse a quel modo, nella melma e nel fango». «Alcuni malati venivano addirittura spinti nel deserto in modo che gli animali selvaggi li eliminassero». Da quelle parti del mondo un’altra donna conosciuta come Madre Teresa, si è presa cura di tutti i tipi di handicap. Di chi faccia resuscitare i morti non ho contezza. Ma se per morti si intende chi è morto dentro, di chi non ha speranza, chi fugge dagli orrori che altri esseri umani gli infliggono, allora sì che ho una bella lista di “resuscitatori” da segnalare. In Messico padre Alejandro Solalinde si occupa dei migranti, per aiutarli a sfuggire dai trafficanti, ha già fondato 57 rifugi. Da Famiglia Cristiana riporto questo passo di un’intervista: «I migranti mi hanno cambiato la vita. Hanno cambiato la mia visione teologica. Gesù è dentro di loro. Sono loro i crocifissi di oggi. Vedendoli passare ho capito che la Chiesa dev’essere povera, pellegrina, aperta ai poveri, evangelizzatrice e non seduta in poltrona». Sappiamo tutti bene, che media permettendo, la cronaca puoi riportarci ogni giorno nomi di uomini e donne di buona volontà, che hanno deciso che quel “Chi?” a cui dar credito, lo hanno trovato e seguito. Alcuni li conosco personalmente. Come la mia carissima amica Lucia Precchia, che ha passato tutta la vita ad occuparsi di bambini con handicap, e non contenta dei napoletani se ne va in Africa a continuare. Conosco un parroco, don Michele Madonna, che in quel di Montesanto, quartiere napoletano, dedica la sua vita a curare la più diffusa e  dolorosa delle malattie  umane, la giovinezza. Affiancando ogni giorni i giovani per aiutarli a diventare adulti autentici. Conosco suor Dasy, missionaria della Carità in quel di San Lorenzo, altro quartiere napoletano, poi don Mimmo, don Arturo, suor Gioia, don Alex Zanotelli. Conosco anche altri che in questi quartieri, cosiddetti di periferia, pur trovandosi nel cuore della città, che operano a fianco di tutte le sofferenze. Operano come quel samaritano, di una delle tante storie di quel Gesù, affiancandosi a dei perfetti sconosciuti, per i quali ci rimettono tutto, tutta un’intera vita. Il loro lavoro, la loro scelta, li ha messi a servizio di tutti quelli che Gesù non aveva raggiunto. Ogni giorno questa opera viene appannata nel racconto dei media, da tanto male che altri compiono. E se la cronaca registra solo i fatti penali, ciascuno nel proprio quotidiano può fare i conti con l’ipocrisia, le meschinità e la mediocrità di tanti che affollano quell’emanazione di Gesù che si chiama Chiesa. Eppure per tutti i lebbrosi, i malati, i sofferenti per ogni male, raggiunti dai samaritani di cui sopra, vi assicuro, per loro conta solo il bene che li ha raggiunti. Allora se quella vita che non ci piace, che vorremmo portare indietro per cambiarla, è proprio da buttare forse meglio cercare uno di questi samaritani. Se al contrario, la questione è il suo restauro, allora si può tornare a Gesù e alle sue parole. Quelle con cui dice visitate gli ammalati, date da bere, date da mangiare, fate qualcosa, qualsiasi cosa, affinché quando vi incontrano nel mio nome, nessuno abbia più a dire Dio c’è, ma mi odia. Occupatevi piuttosto di far sapere che ci sono e che li amo immensamente. Se cercate le parole proprio così come le ho scritte, non le troverete. Sono più un significato che una preposizione. Un significato che si può realizzare. Lo sanno anche le pietre, che quando si sceglie di fare della propria vita un dare, quello che torna indietro è moltiplicato. Quando si spende il tempo a curare, non si resta senza cure, a fare compagnia, non si resta soli, ad amare non si resta senza amore. Per questa strada si trova il significato di una buona notizia, da annunciare, per se e gli altri, Dio c’è e ti ama.    

                                                                                                  Arturo Lanìa


venerdì 28 luglio 2017

Socrate era un cretino?

Socrate era un cretino?
A tutti piace fare una bella citazione. Diceva quello, diceva quell’altro. Si fa sempre bella figura, se poi uno cita un filosofo greco, si ferma il respiro. Questo accade per due ordini di motivi. O si parla con quella massa di cittadini formati negli istituti tecnici, che di filosofi ne hanno sentito parlare solo in televisione. Oppure con quella deliziosa elite che viene dai licei, che immediatamente ricorda il terrore per l’interrogazione filosofia. Poi un ricordo tira l’altro e si fa l’intera gamma delle interrogazioni che più facevano paura, tra cui quella materia che ha terrorizzato tutti, la matematica. A te no? Che poi con il tempo si dimentica pure. Resta solo l’aritmetica. Addizioni, sottrazioni etc. Elementari. La memoria fa lo stesso con la filosofia. Di fronte ad una frase del tipo:<<Come disse Socrate?>>.  E che ne so? Mentalmente è ovvio, fa brutto sembrare ignoranti. La frase a cui penso è una che circola spesso – So di non sapere -. Mo diciamolo pure, è una frase hit parade, se anche Socrate era ignorante, allora va bene, siamo assolti tutti. La questione sta tutta qui. Chi lo ha detto che Socrate lo ha detto? Domanda degna del film di De Crescenzo. Facciamo una passo alla volta. Socrate, chi era costui? Bho! Platone, questo è conosciuto assai, ne parla come il suo maestro, ma per gli storici potrebbe averlo inventato. Allievo di Platone fu Aristotele, altro vip. Anche lui avrebbe scritto libri che nessuno ha mai visto, pertanto un che di leggendario caratterizza anche lui. A sua volta fu mentore di Alessandro Magno. Certamente figura storica, ma da top ten dei personaggi più per la parte leggendaria che per i fatti certi. Per cui, già ci troviamo di fronte ad un bel giro di filosofi molto impastati di leggenda. Certo cose interessanti ne dicevano. Per molti secoli la storia del pensiero filosofico ha attinto al loro sistema. Capirete che attingere a “so di non sapere” sarebbe stato difficile. Allora che diceva Socrate? Per la lezione di filosofia rinvio al web. Circa la frase famosa, una precisazione piccolina. Socrate, o Platone per lui, si riferiva all’essenza della realtà, che resta invisibile agli occhi. Nessun elogio dell’ignoranza. Nemmeno un esercizio di umiltà, ma un’indicazione a non fermarsi al visibile, che rappresenta solo una parte e nemmeno quella essenziale della realtà. Praticamente il Piccolo Principe di Antoine de Saint Exupéry. Solo che se uno cita il Piccolo Principe sembra uno limitato, una storiella per bambini. Socrate, che neanche lo conosce, fa più figura. Eppure la sua frase, assumerebbe tanto valore in più, coniugata con questa: <<Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi … L’essenziale è invisibile agli occhi, ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.>>. Farebbe un gran bene al nostro cervello leggere l’intero brano e poi l’intero libro. Con tutto il rispetto per Socrate. Ricordo che il Piccolo Principe arriva a questo livello quando confrontandola con mille altre, tutte uguali, si rende conto che la sua rosa è unica al mondo. Il suo sguardo è andato oltre e a ha cominciato a conoscere. Ha visto qualcosa che prima gli era invisibile. Non scappare caro e forse fantomatico lettore. So di non sapere, ma posso sapere se cambio sistema di guardare, che mi fa distinguere tra ciò che amo e ciò che nemmeno conosco. Quindi chi ama conosce e inevitabilmente chi conosce ama. A me pare un bel passo in avanti. Che pare? Facciamone un altro. Un’altra citazione ci vuole. Le parole da sole, sono come le persone, rappresentano poco. Insieme ad altre, anche congiungendosi a distanza di secoli, formano un panorama degno di una sosta.  Il beato Card. Newman ha scritto: "Io sono stato creato per fare qualcosa o per essere qualcosa per la quale non è stato creato nessun altro; occupo un posto nei piani di Dio, nel mondo di Dio, un posto che non occupa nessun altro … Dio mi conosce e mi chiama per nome … sono necessario nel mio posto come un Arcangelo nel suo". Qui dentro trovano posto tutti e due, Socrate e de Saint Exupéry. Ora ci vuole il gran finale, un altro filosofo. Søren Kierkegaard, nel suo diario ha scritto: << Ciò che costituisce la serietà dell’amore di Dio è amare, ed essere amato è per Lui una passione>>. Come è stato possibile arrivare da uno sconosciuto greco a tutto questo? Non lo so neanche io. Camminando, un passo alla volta. E quella verità che Socrate sapeva di non conoscere glie la propone il cardinale di Bologna monsignor Caffarra: << Questa è la verità della creazione: c’è un Dio che ti vuole e ti ama e desidera che tu viva con Lui, per sempre>>. No, chiunque fosse, credo che Socrate non fosse un cretino. Uno che cercava la realtà vera delle cose. E ci è voluto un cammino per trovare risposte, che ancora spronano. Ad ogni tappa scopriamo di non sapere, abbastanza. Mi pare però, che il viaggio valga la pena di continuarlo.

                                                                        Arturo Lanìa

giovedì 27 luglio 2017

Le quattro teste teste

Le quattro teste
Si sa, tutto dipende dalla testa. Anche quando diciamo cuore. Infatti vogliamo solo dire testa che agisce senza logica, e ci pare brutto dirlo così. Ci sono dei detti che ne parlano. Il pesce odora dalla testa. Un cappello per ogni testa. Che bella testa. Per ognuno di essi conosco delle persone che ne dimostrano la verità. I fratelli pescivendoli Enzo e Raffaele di via Pisa. L’eventuale lettore non tema, nessuna pubblicità occulta. Solo mi piace dimostrare che le persone esistono davvero. Dicevo, nella bottega di Enzo e Raffaele si respira un’armonia, ti accorgi che lavorano con piacere e la qualità dell’ittico prodotto ha una sapore aggiunto, quello dell’accoglienza. Lo so, lo so, ho scritto proprio uno slogan. Ad ogni modo, mi sono sempre sentito “a casa”. L’ho detto anche al mio amico Gaetano, in particolare che mi colpisce chiudano presto, anche la Domenica, per pranzare con la famiglia. Mi pare proprio che lavorino per vivere, piuttosto che vivere per lavorare. Cristianamente. Così Gaetano mi  racconta che i due hanno avuto una gioventù movimentata. Per un intreccio di vicende, ebbero una conversione religiosa che si è riversata in un cambiamento di stile di vita. Sono cristiani evangelici. Ci ho pensato anche io a tutti i commercianti cattolici che hanno ben altri comportamenti. Ma credetemi, nella pratica dipende solo dalla testa. E di teste se ne intende il mio amico Antonio Moccia, commerciante di cappelli in via Alfonso D’Aragona. Afforza voglio fare pubblicità! Nossignore. Voglio solo si sappia dove trovarli, esistono davvero. Antonio ha tutte le qualità, quando lo incontri la prima volta, sembra siate amici dall’asilo. Soprattutto è allegro. La vita buona. Certamente. Quella che ha imparato combattendo la malattia, che lo ha portato a conversione. Inutile dire che la messa lo annoiava, sta parte qui è talmente ricorrente che è un cliché. Oggi è un devoto della Madonna. Così gli ho dato una delle immaginette che porto con me, alla maniera di Madre Teresa, della Vergine che Scioglie i Nodi. Antonio ha voluto subito ricambiare. Dal cassetto ha preso un mazzetto di Tau, il tipo di croce dei francescani. Un suo amico caro è un predicatore dei frati, sempre in giro per il mondo, che quando lo passa a trovare glie ne lascia sempre un poco da dare a chi incontra. L’ho indossato e non lo tolgo mai. Se passate da quelle parti, andate a trovarlo per un caffè, se avete il cuore buono, vi sentirete “a casa”. Come d’altronde da Pasquale Penza, il mio amico barbiere, del borgo di S. Antonio. Lo dico subito, pubblicità o no, è bravo. Ma qui ne parlo per un altro motivo. Un giorno mi racconta un suo sogno ricorrente. Nella sostanza una sorta di visione che lo interpellava nel cuore a fare qualcosa di buono per il prossimo. Mo’ da me che volete, conosco pescivendoli monaci, cappellai francescani e barbieri mistici, cose che capitano. Il sogno si è fatto realtà e ha dato vita a – Salvi per un Pelo - un’associazione con cui porta la sua professione nelle case di accoglienza per i bisognosi. Per questi fratelli è una festa. Quest’anno poi, è stato coinvolto dai Salesiani in un progetto di formazione per giovani. Un’esperienza che gli ha dato tanta gioia. Anche da lui ci si può “sentire a casa”. Di commercianti che si occupano di teste ho finito l’elenco, ma di altri che hanno un cuore aperto, che un poco alla volta ne ho scoperto la generosità verso il prossimo potrei scrivere ancora. E se mai qualcuno capitasse dalle parti del mio blog, troverebbe altri racconti di persone che cercano di vivere agendo per il bene. Che hanno Cristo nel cuore. Come dire, sono un testimone che in questo mondo ci sono tante belle teste di cui parlare. 
                                                                        Arturo Lanìa



mercoledì 26 luglio 2017

Lucia

Lucia
Lucia non è sposata. Ha centinaia di figli. La mente va subito a quell'idea di ragazza madre che girava in anni passati. Oggi i giovani son meglio “organizzati”. Però qualcosa non torna. Negli antichi harem, un sultano con cento mogli poteva vantare la media di un risultato a sposa e quindi arrivare, eccezionalmente, a cento figli. Ma un donna sola? E nemmeno ho scritto cento, centinaia addirittura. In natura, ad oggi, è impossibile. Dato che sono uno che scrive sul Sacro Cuore, sulla Chiesa, partendo da questo indizio si può arrivare alla soluzione dell’enigma. Una suora. Di quelle che si occupano di bambini, solita solfa di brave donne votate alle creature altrui. A parte che penso che già se fosse, giù il cappello, se permettete. Lucia invece è laica, proprio laica, laica. Nel carattere, almeno. Nella sostanza. Credente, praticante, impegnata nel movimento orionino, con un tessuto della personalità, nella trama e nell’intreccio, intensamente cristiana. Nella vita, lavora come psicomotricista. Un nome storico nell’ambito della professione a Napoli. Quando l’ho incontrata anni fa, nemmeno sapevo che esistesse questo mondo. Oggi, tutte le mamme che hanno i figli stressati e irrequieti, i figli, catalogati come “iperattivi”, sanno bene di che si tratta. Certo il mondo contemporaneo è strano, manda i bambini in terapia per affrontare lo stress e nemmeno si ferma a chiedersi che accade. Torniamo a Lucia. Quindi una professionista, che si occupa di bambini stressati? Le parole sono sempre importanti, se si sanno usare, ho scritto sopra “storica”. Non ci crederete, ma c’è stata un’epoca in cui i bambini erano allegri e pieni di fiducia. Invece, allora come oggi, esistevano i bambini che il Buon Dio permette nascano con ritardi mentali. I terapisti come Lucia sono quel ponte che esiste tra la malattia e la vita sociale, a cui questi bambini possono accedere. Come posso dire, sono la risposta insieme di Dio e della Scienza, con la maiuscola, che per tutte le vite c’è dignità. Anche questa parola è importante, infatti, mentre i bimbi stressati del mondo contemporaneo, fanno una terapia e se tutto va bene, ne sono fuori, altri invece non guariscono mai . Down, autistici, spastici, un elenco di nomi di malattie, che accompagnano le creature “dalla culla alla bara”. Bando alla tristezza. Se assistete ad una seduta terapeutica, non troverete mai Lucia triste e nemmeno le sue centinaia di “figli”. Al contrario l’atmosfera è il gioco, la gioia, è il volersi bene. Troverete una vitalità che vi investe e posso dirlo, se siete tristi vi sentite in imbarazzo tra tanti bimbi giocosi. Così questa brava signora, mia carissima amica, con tutto questo lavoro sarà sicuramente ricca. Dopo anni, sai quanto. La pensioncina, standard. Così è. Credo sarebbe stato così anche negli Stati Uniti. Ci sono professioni che si fanno con la stessa vocazione che serve a decidersi a farsi monaco o monaca. Che di vocazione si tratta, lo prova anche il luogo delle “sue vacanze abituali”. In Sierra Leone, Africa. Un suo amico, scherzosamente, sulla sua pagina Face Book, le ha scritto, -te ne vai la mare-. Simpatica è simpatica, ma voi conoscete una donna che si tiene qualcosa? Da un uomo poi? -Stagione delle piogge caro-, gli ha subito risposto. Piogge? Allora che ci va a fare in Africa in vacanza? Va al centro Don Orione, lo voglio scrivere, baluardo tra la barbarie dell’abbandono e l’accudimento con amore. I casi di quei bambini sono drammatici. Lei è la dottoressa Precchia, chi vuole può documentarsi sulla sua pagina Face Book. Caso mai può darle anche una mano economica, se interessa aiutarla. Ma non cercate foto strappalacrime, non le troverete. I bambini nelle foto o abbracciano o sono abbracciati, e gli operatori, laici e religiosi, sono illuminati da quella luce dorata che viene dall’idea interiore che la propria vita è spesa bene. Nel deserto dell’arretratezza, un’oasi di amore. Scienza e Fede insieme, per non lasciare nessuno solo. Penso allora che per la mia cara dottoressa Lucia Precchia, mamma Lucia,  posso scrivere, è una mamma buona per centinaia di figli.

Ciao Lucia, buon viaggio. Salutami i tuoi bambini. La Madonna ti accompagni.

                                                                            Arturo Lania