giovedì 31 agosto 2017

Quo vadis? Per queste strade familiari e feroci

Quo vadis? Per queste strade familiari e feroci
Ogni lettore sa che per quanti libri possa leggere nella sua vita, ce ne sono due di cui si innamorerà per sempre. Li ama talmente tanto, che qualunque forma di pensiero possa mai elaborare, le prime idee li attinge sempre da lì. Gli stanno in testa, come il ritornello di una canzone. Solo che il ritornello passa, i libri no. Così è anche per me. Sottolineo subito una singolare coincidenza. Sono un camminatore. Mi piace passeggiare, da sempre, persino da piccolo. Se mai si guadagnasse camminando, sarei quanto meno benestante. Date le mie scarse finanze, be’ sì è possibile che sia più un’attività da sfaccendato. Vero è che di tesori ne ho messi da parte. Sono le storie che incontro durante le mie passeggiate. In ogni caso, se il verbo che regge questa mia passione è “camminare” e i libri della vita sono “Quo Vadis?” e “Per queste strade familiari e feroci” la singolare coincidenza si nota subito. Per non dire che i due titoli, sembrano l’uno la risposta alla domanda dell’altro. Mi fa pensare che nella vita ci sia sempre una logica, una coerenza. Solo che per vederla c’è bisogno di mettere uno accanto all’altro i vari elementi. “Ė l'invisibile che rende esperti e sapienti, non il visibile”.  Henryk Sienkiewicz nel suo romanzo mette davvero tanta gente. Se avete visto il film, non è possibile capirmi, scusatemi, ma è un polpettone. Il libro al contrario è coinvolgente, bello, emozionante, mi ha stimolato a pensare. Due personaggi in particolare sono diventati per me paradigmatici. Crispo. I lettori sanno che sul piano della narrazione è un non protagonista. Eppure è tanto importante. Severo, austero, pensa solo al peccato e se potesse metterebbe a bacchetta anche Pietro. Nonostante sto’ caratteraccio è il “formatore” della dolce, buona, gentile Licia, che si innamora di un pagano. Il libro chi lo ha letto, lo ha letto e chi no, consiglio di farlo, è un vero piacere. Ma qui non è la storia che voglio commentare, ma un concetto. Nella prima comunità cristiana, come la vede  Sienkiewicz e come si può anche dedurre dalle lettere di Paolo, ci sono personaggi di tante personalità. Caratteri, idee, forse persino teologie differenti. Finiranno tutti sulla croce. Quindi se tutti martiri, tutti testimoni e santi. Crispo appeso alla croce resta fedele alla sua personalità e lancia invettive e rimproveri finché non spira. A tenerli insieme tutti, a guidarli, a ricordargli Cristo e il suo Vangelo è Pietro. Non senza doversi confrontare con personaggi come Crispo, ma anche con i problemi procurati dalla dolcezza di Licia e dal suo amore. Mica i buoni e i bravi non creano problemi! Hai voglia se li creano. Gesù con i suoi ne ha passate prima, durante e dopo. Il romanzo si chiama così, perché Sienkiewicz si immagina Pietro che fugge dalle persecuzioni. Lungo la via di fuga incontra Gesù che gli chiede: <<Quo vadis?>>. Insomma il fondamento della Chiesa nascente stava ancora imparando. Questo quadro è uguale ai giorni nostri. Ora io due lettrici ho, se mi metto a scrivere troppe cose, finisce che perdo anche loro. Mi limito solo a pensare a tutti quei cristiani cattolici che ce l’hanno a morte con il Papa. Per citare uno famoso, Antonio Socci, giornalista, autore di libri, antipapa Francesco sviscerato. Sul suo blog scrive ogni giorno <<che brutto Papa che abbiamo, brutto e cattivo>>. Insomma non gli piace. Al contrario di me, che medito tutte le parole di Papa Francesco, come una grazia per la mia vita. Siamo diversi nelle idee, mi pare evidente. Eppure a suo tempo pregai per la figlia di Antonio, apprezzai alcuni suoi testi, meno, certi interventi giornalistici, ma tutto è opinabile. Credo che vada a messa ogni giorno, preghi il Rosario e conosca il Catechismo. Come faccio a considerarlo diversamente da un fratello nella fede? Forse se discutessimo di politica, l’immigrazione per esempio, finiremmo per litigare. Politica, calcio, secondo me anche arte e cultura, sono temi che si prestano alla contrapposizione, quindi si può, anzi, si deve litigare. Ma se ci inginocchiamo entrambi davanti all’ostia consacrata, siamo inevitabilmente dalla stessa parte. Insomma Crispo, credetemi era davvero insopportabile, ma salì sulla croce. Ora basta tristezza e facciamo entrare in scena l’altro personaggio emblematico, il buon Petronio. Pagano, libertino, colto, ricco. L’idea di convertirsi nemmeno lo ha sfiorato. Una mia conoscenza, missionario in Giappone, una volta mi disse: <<La prima cosa che ho imparato è che il pagano è un uomo profondamente religioso e spirituale>>. Qui mi permetto di aggiungere, anche l’ateo. Lo sono stato per i primi dieci anni della vita adulta, posso ben dirlo. Petronio conosce l’amore ed è dotato di intelligenza e sapienza. Ama il nipote Marco, innamorato di Licia e lo aiuta in tutti i modi. Ama, nel senso suo, la sua schiava Eunice, che lo realizza nei sentimenti. Con l’intelligenza riconosce la follia di Nerone e i segni di un’epoca che tende al declino. Un personaggio speciale, sarà lui a salvare Marco e Licia. Nella Bibbia, ci sono due grandi pagani, chiamati servi di Dio. Ciro il Persiano e addirittura Nabucodonosor di Babilonia. Da Costantino a Mussolini, la Chiesa ha avuto tanti vantaggi dai pagani. Per non dire che gli amici sono stati fonte di guai e gli avversari, i non credenti, sono stati preziosi alleati. Penso proprio che chi volesse dedicarsi ad una riflessione alla ricerca di attinenze nel contemporaneo, praticherebbe un esercizio intellettualmente divertente. Pensare è un piacere. La storia di  Sienkiewicz ha anche altro da offrire, ma è venuto il momento di passare al bel romanzo di Ferruccio Parazzoli. Se non lo avete letto, difficilmente vi riuscirete, è fuori edizione e mai più ristampato. In breve è la storia di un prete, don Ennio, a cui piace passeggiare per incontrare storie. Qui, subito spezzo una lancia in mio favore. Dato che don Ennio non è ricco, ma nemmeno uno sfaccendato, eppure passeggia, allora è possibile dedurre che passeggiare non sia per forza attività da sfaccendato. Anzi, lo spunto è che sia uno strumento principe per capire le persone che abitano il quotidiano delle strade familiari e le difficoltà per gli accadimenti feroci che gli capitano. Ma anche altro. La complessità dei sentimenti, degli sviluppi esistenziali, del coacervo di contraddizioni che muovono e compongono la vita delle persone. Così incontra il prete missionario che dopo anni di missione ha perso il senso della sua vocazione e abbandona. Il prete che dopo anni di fabbrica ha trovato nella vocazione la strada di senso della vita. L’anziano prete che nella solitudine della povertà preserva integra la sua vocazione dell’infanzia. Poi ci sono quel mondo di laici in cerca di cose che non hanno nome o forma chiara, né luogo dove andarle a cercare. I giovani, le persone mature con le loro ferite, la giovane volontaria, di cui don Ennio si è innamorato, vittima di uno stupro. Personaggi per niente di fantasia. Conosco anche io missionari che hanno perso il senso della missione. Ne ho un elenco, ma uno in particolare lo cito. Un religioso carismatico, riferimento di tanti, soprattutto giovani. Mi dispiace non averlo più incontrato, spero che accada. Vorrei conferma, che con un altro ruolo, sta comunque lavorando ancora la buona vigna del Signore. Davvero un uomo eccezionale. Anche gli altri personaggi, nella vita reale li ho incontrati. Un sacerdote che era stato guardia carceraria. Un anziano prete che ancora regge una piccola cappella, tenendo viva una comunità. Dei giovani poi, credo non ho bisogno di citare i casi personali, meno che mai tutte le persone ferite, né raccontare le contraddizioni dei fatti della vita con le istanze di speranza della fede. Forse è giusto solo ricordare un fatto appena accaduto. Nel terremoto di Ischia,  la sorella Lina è morta per trovarsi sotto la chiesa, i cui calcinacci l’hanno mortalmente colpita, per essere andata a svolgere un servizio di preghiera. Donna socialmente attiva, madre di sedici figli. Davvero un accadimento stridente con la speranza. Eppure la sua vicenda ha acceso i cuori della fede anziché spegnerli.  
La mia conversione alla fede cattolica avvenne in età adulta, come detto, dopo anni di ateismo. Facile non è mai stato, né repentino. Poco a poco in me è nato un amore e quando c’è quello si va sempre avanti. Le difficoltà stanno nel comprendere il mondo e le persone che mi girano intorno. Frustano costantemente tutte le aspettative. I fratelli e le sorelle che incontro nelle chiese sono rissosi, mendaci, speso ipocriti, traditori, sparlatori, affaristi. Quando penso che una chiesa vuota è lo spazio migliore per credere, mi devo confrontare con i loro slanci di carità, di fraternità, di fede. Senza questi due testi qui accennati, non potrei capirli, non potrei tenere concettualmente insieme tutta la complessità, le contraddizioni che esprimono. Credo che nemmeno potrei capire i Vangeli, la loro connessione con la realtà, la loro funzione nella quotidianità, la loro possibilità di ispirare la concretezza. Nemmeno avrei capito Gesù, il suo camminare, anche lui, ho speranza che sia una buona attività anche per me, il suo incontrare, il suo seminare, il suo sorprendere, il suo continuo contraddire.
Oltre ai Vangeli per capire ho bisogno di letteratura. Questo mio sistema in realtà ho scoperto essere abbastanza diffuso. Potrei citare figure auliche, già sante, ma fa d’uopo mettermi in relazione con qualcuno di più normale.
Don Marco Pozza è un sacerdote molto noto grazie ai media. Da quello che si vede, sembra una persona speciale. Se non nel carattere, nel suo pensare assomiglia a don Ennio del romanzo. Don Marco una volta ha detto, sono incline ad essere un intellettuale ed ho bisogno della letteratura per capire il mondo. Una comprensione che gli fa scrivere libri, tenere un blog, fare conferenza. Ma anche, dopo anni con i giovani, servire oggi “i maledetti” del carcere di massima sicurezza "Due Palazzi" di Padova di cui è cappellano. Aspetta ancora Gesù. Per questa attesa, considera il tempo uno spazio di servizio e di crescita. Mica è possibile servire senza crescere. Si conquista la fede ogni giorno. Né amicizie, né circostanze, né le possibilità che gli da la vita, le considera sue, per il suo uso e consumo, ma opportunità di realizzare la chiamata. La sua natura è convulsa, attiva, fervente, forse nella realtà sarà anche pieno di contraddizioni. Ma combatte. La sua esuberanza al servizio della lotta. Per restare attaccato al Vangelo, usa la letteratura, a partire da Antoine de Saint-Exupéry, che oltre a “Il Piccolo Principe”, ha scritto altre opere, come “La Cittadella.  
Ora, come concludere sto po’ po’ di carrellata? Potrei dire “leggere fa bene”, tanto valeva scriverlo subito ed evitare lo sforzo di mettere su carta queste quattro sciocche riflessioni. Cosa dire allora? Mi viene questo. Il mondo intorno a me è incomprensibile. Nemmeno nella Chiesa ho trovato quell’ordine che ho sempre cercato. Eppure l’esperienza mi ha svelato che è dotato di un’invisibile coerenza, si muove lungo le traiettorie invisibili di un piano razionale. Dentro il coacervo di azioni ferine, si realizzano le opere di bene più belle, inaspettate e sorprendenti. Dividere le persone tra amici e nemici si è rivelato sempre una grande sciocchezza. Al contrario accettare che chiunque possa fare tanto del bene quanto del male si è rivelato il più infallibile dei pronostici. Al ché avere tra le mani un po’ di personaggi letterari a cui fare riferimento per capirci un po’ qualcosa, ecco ora sì, aiuta, aiuta tanto. Per cui me lo si lasci scrivere. Per un cristiano serve prima di tutto il Vangelo. Ma poi per capirlo occorrono davvero tante e tante storie con cui metterlo in relazione.
Viva Papa Francesco, eletto, come tutti i Papi, dallo Spirito Santo, che come si sa, soffia dove vuole.
                                                                           Arturo Lanìa


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