martedì 15 febbraio 2022

 Ci sono film che vai a vedere solo perché capita, in modo imprevisto. Comed andare all’Astra dopo tanti anni. Dagli anni di quella gioventù che voleva ancora cambiare il mondo. Quella di oggi non sembra, forse gli andrà meglio, chissà? Siedo tra loro,  per il film di una saga familiare, così viene presentato Walchensee Forever, docufilm di Janna Ji Wonders, che nella vita è anche cantante. Come ogni film quando lo vedi scopri che non può essere contenuto in una definizione. C’è una donna, che fa da cerniera nella storia. Quindi una figura forte ed invisibile. Chi di noi di un capo di abbigliamento ha mai espresso un apprezzamento per una cerniera. Eppure provate a farne a meno. Se non funziona, non si può indossare niente. Forte, tanto da arrivare a 104, acciaccata, ma lucida. No, non è la sua storia. Sta li, sul lago Walchensee da piccola, ed eredita l’attività di famiglia per obbedienza, all’epoca si obbediva al padre, in questa unica definizione viene racchiusa tutta la sua vita dietro ai fornelli del ristorante. Si vede anche la madre, forte e fiera è il cameo didascalico che la presenta. Ossuta, nervosa, sempre ben vestita anche durante il lavoro di cuoca. Nei filmati di famiglia mostra un sorriso deciso e decisamente non ama essere toccata, quando si avvicinano per abbracciarla e mettersi in posa, scaccia via. Lo fa due volte, in momenti diversi. No, non è nemmeno la sua storia.  La vita di Frauke e in parte della sorella Anna, che delle due sono filglie e nipote, di queste si racconta la storia. Figlie di una cuoca forte, ma rassegnata e di un fotografo creativo, ma addolorato, che ha fatto la guerra, la seconda grande, come il dolore che ha lasciato. Un dolore che si passa in eredità. In questo schema di famiglia tutto sommato fin qui ordinaria e ordinata, le sorelle Werner si mettono in viaggio. I viaggi si prestano ad essere raccontati. Dalla Germania al Messico, le due scoprono lo sciamanesimo, la spiritualità, i gruppi che cercano una via per uscire dal dolore ereditato e praticano la vita in comune. La droga lo ricordiamo tutti faceva parte del percorso di ricerca e la usano anche Frauke ed Anna. Ma è ora che ce ne rendiamo conto, quella non fu una generazione di drogati dissipatori. Fu una generazione che provoò sulla propria pelle tutto quanto era necessario per trovare un'altra strada dell'esistenza. Tutti i capitoli della storia li racconta Anna alla figlia Janna, che la intervista filmandola seduta  sul divano di casa. E sul filo del racconto passano le immagini da foto e filmati di famiglia. Un lavoro di montaggio ben fatto. C’è anche la foto dello schianto, una foto di giornale. Fu così che morì Frauke. Schizofrenica, passata per il manicomio. Succede quando senti dentro una vita che vuole trabordare, espandersi, anzi trascendere. Succede quando in te senti un’innocenza, una sete di libertà, uno spirito leggero che non può restare attaccato al corpo. Succede quando cerchi di continuo e non vuoi arrenderti all'uniformità, alla rassegnazione. Magari sei tanto forte da arrivare a 104 e fai tanta tenerezza. Magari senza di te non ci sarebbe stato un'altra generazione. Ma la tua vita resta tutta in "obbedì al padre" e si rassegnò. Adamo ed Eva non esercitarono questa opzione. E della loro scelta di libertà la Chiesa dice "felice colpa che ci ha meritato un si grande Redentore". Difficile da comprendere, come la vita stessa lo è, per questo bisogna andare per tornare. Nei loro spostamenti nel mondo le due donne incotrano anche Rainer Langhans, regista e lo scrittore, che le introduce alla meditazione e alla spiritualià indiana. Ecco la vera trama di questo bel film, una storia di donne che hanno cercato lo spirito della vita. Ciascuna con gli strumenti del proprio tempo. La fiera nonna, in ghingheri anche dietro ai fornelli. La forte mamma, obbediente e rassegnata. Frauke ed Anna, di una generazione che eredita il dolore da chi lo ha vissuto e cerca una via di consapevolezza e libertà per viverla pienamente.  Anna piange mentre racconta. Non è solo la commozione del ricordo, esprime la sofferenza di chi ancora cerca. Di chi testimonia che tutta la vita serve a questo, nessun tempo sarà mai di pace in questa ricerca. “Come è difficile” pronuncia raccogliendo le lacrime di chi non ha mai smesso di cercare. Mamma e figlia accudiscono la nonna di 104 anni, la “oma”, come sento pronunciare, il film è infatti in lingua sottotitolato. L’ho detto, è il film che ti capita di vedere, ma scopri che è il film che aspettavi di vedere. Perché mi ci ritrovo. Ritrovo i percorsi, gli inciampi, i dolori, le esperienze. Ritrovo la nonna anziana che si consuma facendosi piccina. Le tre siedono su una panchina di fronte al lago, la “oma” è al centro,  tra le sue discendenti bavaresi, piccina piccina di una poetica tenerezza. Questa scena è cristallizzata nella locandina del film. Le tre generazioni e la quarta evocata, stanno li a condividere i loro percorsi esistenziali. Quello di Janna è la regia e la musica. Contemporaneo. Forse la via più facile e borghese o forse la più complessa e ricca di possibilità di linguaggio per esplorare la consapevolezza, chissà? Di certo il film, il racconto mi ricorda che c’è al mondo un patrimonio di esperienza sulla ricerca di senso, di ciò che non funziona e di ciò che va ancora ben esplorato. Andare in India per esempio, è marginale. Ricercare una pratica che ti centri va perseguito essenzialmente. Le droghe fanno certamente male. La sobrietà della vita fa certamente bene. E così via. Così andare per non andare da nessuna parte è cosa diversa da restare per andare ovunque. Mi pare che per sempre Wallchensee suoni quasi come un’intenzione, un proposito, una risoluta convinzione. Mi ha fatto sentire normale. E mi ha fatto ricordare un detto.  La vita è come un albero, più affondano le sue radici, più alta si fa la sua chioma.

                                                                                        Arturo Lania