lunedì 25 ottobre 2010

Terzigno I Pacifici Rivoltosi
La mattina è ovattata, l’aria è tiepida, umida, genera un’ atmosfera sospesa. Siamo pensierosi, la notte nessuno di noi due ha dormito. Viviamo in mondo che ci piace, che vogliamo capire. I media e la loro informazione generano fracasso. Noi vogliamo capire. Terzigno è a venticinque chilometri da Napoli. Come può una comunità di cittadini di questo paese trasformarsi in rivoltosi da guerriglia? Vogliamo andarci, vogliamo capire.
Il viaggio racconta da subito la vicenda. La stazione della Circumvesuviana di Terzigno è chiusa, i binari sono occupati. Scenderemo ad Ottaviano per iniziare un cammino di cinque ore, lungo la chilometrica via Zabatta.   La strada attraversa tre comuni, tagliando in due i confini, la campagna e le case. Nel tratto finale diventa un Strada Provinciale.  Le barricate cominciano da lì, dalla chiesetta di San Leonardo che segna l’inizio della strada da Ottaviano. Un edificio muto, con le sue campane immobili. Alla fine di questo tracciato urbano c’è la Rotonda Panoramica, con al centro un tronco di ulivo. Tra questi due segni della fede, una serie di persone con le loro storie e la loro battaglia.
Il territorio è chiuso, con le auto non si entra e non si esce. Le barricate sono fatte di alberi tagliati, pneumatici, campane per il vetro rivoltate. Lungo il primo tratto parliamo con dei ristoratori. Piangono il guadagno perso, ma troveremo solo un imprenditore che critica la rivolta. Da lì, quando gira il vento, la puzza si sente e la sentiamo anche noi. I ristoratori sono in difficoltà, come tutte le attività che hanno dovuto chiudere in questi giorni. Quel tratto però è Ottaviano non Terzigno. Ma hanno lasciato che mettessero le barricate. Non li hanno aiutati i terzignesi nella lotta, questo glie lo debbono. Lungo la strada le attività chiuse o aperte espongono tutte cartelli con la scritta - NO ALLA DISCARICA - . Il cono del Vesuvio, con la corona del suo monte Somma sono alla nostra destra. Imponenti testimoni di popoli con tradizioni millenarie. A sinistra il golfo, chiuso dai monti Lattari, la piana di Pompei. Davanti il Nord, la strada verso la città, lo stato avverso. A cui è chiuso l’accesso.
L’unico imprenditore che critica la rivolta, fa parte del comitato promotore del territorio. Qui si produce il Lacrima Christy, le olive, le nocelle. La zona è famosa per i suoi ristoranti per cerimonie. Ne incontreremo uno, che fu nell’attenzione d’investimento di Maradona, prima che fosse costretto a lasciare l’Italia. E’ desolato il nostro amico, nel suo elegante negozio di leccornie locali, non c’è nessuno. Ma anche  lui ci racconta che i problemi non nascono oggi. La discarica è proprio in mezzo alle vigne, a ridosso dei ristoranti. E’ la bocca di un vulcano che non ha bisogno di esplodere per distruggere.
Quando lasciamo il territorio di Ottaviano ed entriamo in Terzigno, la strada passa tra una lunga fila di caseggiati a un piano, che potremmo definire villette, se ne avessero l’archittetura.   Un furgone si ferma davanti ad una barricata, e scarica dei copertoni. Non è un rivoltoso, chissà da dove arriva? Approfitta semplicemente della situazione, per liberarsi del suo carico. Nessuno gli dice niente. A terra ci sono già delle grucce, un manichino con un cartello, gli alberi. C’è un presidio di donne e bambini. Parliamo con loro. Proviamo orrore quando ci raccontano che la notte è da lì che passano i camion.  La puzza, i topi, il rumore. Bambini piccoli in bici ci guardano curiosi, una giovane studentessa racconta la rabbia, una mamma dal terrazzo ci dice che stanno difendendo la vita. Più avanti un’anziana donna col cancro ci piange in faccia, perché la puzza ne fa una prigioniera in casa. Perché la vita qui è questa. Casette ad un piano, e aria di campagna. Non ci sono industrie, la città è lontana. Il territorio è tranquillo. C’è solo la discarica. Invisibile e incombente.
I cittadini di un territorio e lo Stato. Un brigante lo incontriamo, è lui stesso a definirsi così. E’ preparato, ha fatto il sessantotto, ragiona e minaccia. Ricorda con orgoglio il brigante Polone. Mi vengono in mente i guerriglieri afgani. A Danilo evoca Federico Barbarossa. In effetti gli somiglia. Ci fa la cronostoria della discarica. La vorrebbero sì, con l’impianto di vagliatura. Significherebbe lavoro. In effetti è per questo che hanno sottoscritto gli accordi. Ma il decreto ha buttato al macero il buono, e ha riaperto la discarica a tutto. Così si muore. E da queste parti non si muore senza combattere. D'altronde in tutto questo c’è un’ironia grottesca. In queste zone la differenziata funziona benissimo. Quasi tutti hanno il giardino o un appezzamento. Usano l’umido come fertilizzante e la differenziata è raccolta porta a porta. In pratica qui non fanno immondizia. Questo è il grottesco.
Abbiamo parlato con decine e decine di persone, tutte pacifiche, ragionevoli e determinate. E la violenza? I camion bruciati, orribili scheletri inceneriti che segnano il racconto di un conflitto? Le sassaiole, i feriti? - Non siamo contro lo Stato -. Lo dicono tutti. - Dallo Stato siamo abbandonati -. Della Protezione Civile e di Bertolaso non si fidano, non hanno dimenticato la cricca e le promesse a L’Aquila. Ma questa gente qui i sassi ai poliziotti non li lancia. Meno che mai incendia i camion. Questa è terra di lacrime di vino, ma anche di lacrime di camorra. I violenti li hanno isolati. Ma gli scontri avvengono di notte. Quando tolgono anche la luce per disperdere i dimostranti. Può sembrare una spiegazione di parte. Chiediamo conferma ai poliziotti. I blindati dei tre corpi, polizia, carabinieri e finanza, presidiano la discarica. Ci ripetono la versione dei cittadini. La popolazione è determinata, difende il suo, ma è ragionevole. I violenti si sono infiltrati. Odiano le forze dell’ordine. Vogliono che ci scappi il morto. Non hanno a che fare con la protesta, che è pacifica. Sentirselo dire da guerrieri armati di tutto punto è singolare. Ma sono servitori dello Stato, che hanno degli ordini. Questa è una delle chiavi della storia. Gli ordini dello Stato.
Ormai siamo alla rotonda. Ci sono decine di giornalisti. Una troupe è giapponese. Una giornalista di un’importante testata, sbotta perché il direttore le ha chiesto un servizio sulla bandiera bruciata. Ma il fatto è accaduto il giorno prima. “Ora ne compro una e la brucio io”, si sfoga. Il fracasso dei media, appunto. Abbiamo camminato per ore tra pacifici cittadini. Le barricate non sono più impervie dei resti della notte di Capodanno a Napoli. Il paesaggio è una tranquilla campagna. L’unica cosa che ci turba è la fila di poliziotti in tenuta antisommossa, che chiudono l’accesso meridionale alla rotonda. Ci passiamo in mezzo. Ho un sussulto, è dai tempi dell’università che non li vedevo così da vicino. Nello spazio intorno all’ulivo ci sono tutti. Mamme, papà, bambini, nonni. Ad una donna che sta lasciando il presidio per andare a lavorare, sostituita dal marito, chiediamo se ha paura dei poliziotti con gli scudi e i manganelli. “Perché dovrei? Siamo pacifici cittadini che difendiamo il nostro territorio.”
Arturo & Danilo


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