La luce del borgo
Tanto tempo fa, lo smartphone ancora non esisteva, il mio cellulare valeva nove euro e di certo non faceva foto, attraversavo spesso un certo borgo cittadino. Al meriggio si diffondeva la luce del tramonto che dorava di se gli edifici che parevano bearsi in quell’incanto. Una particolare combinazione di mescolanza con la luce dei banchi preparati per le prossime feste natalizie, che diffondeva intorno un’aurea serena e pacifica. Un incanto, che volevo trattenere. Con la macchinetta fotografica un giorno mi posizionai, in attesa della magica luce. Un’inquadratura incantevole, movimento di popolo nel “sogno dorato” tante volte dipinto da Luca Giordano. Uno scatto, poi un altro e un altro ancora. Assorto quasi, in quanto cercavo di catturare. Non mi accorsi che in fondo, di lato, fuori inquadratura un gruppetto di uomini, dal fare guardingo, a loro volta avevano inquadrato me. Tra loro un tipo alto, vestito di nero, con uno spolverino e i capelli tenuti a coda di cavallo, si diresse deciso nella mia direzione. Aveva il fare del gregario che investito di un compito si preparava ad adempierlo con fare autoritario. Lo seguivano severi gli altri compari. Erano già a pochi passi da me quando mi accorsi del gruppetto e mi resi conto che il loro movimento mi riguardava. Ancora con gli occhi della mente assorto in quella luce dorata, con quelli del corpo fissai il tale con il nero spolverino e la coda di cavallo. << Questa è la nostra zona, tu qua non puoi fare fotografie!>>. Tutte insieme quelle parole erano così fuori contesto che faticai a dargli un’allocazione mentale per una razionale comprensione. L’espressione di stupore probabilmente accese di più il tono dell’uomo alto, vestito in nero, che mi intimò: <<Cancella subito! O me la prendo!>>. Immagino intendesse la macchinetta fotografica. Ancora troppo assorto, in stato meditativo, non si attivarono i ricettori e non partì la dose di adrenalina che genera paura. Al contrario, circolava sicuramente nell’uomo con la coda di cavallo. Fui quasi automatico porgere la macchinetta e aiutarlo a cancellare. Dovette sembrar loro molto facile, oppure da buoni professionisti della vigilanza non sentirono il bisogno di aggiungere altro e se andarono, con fare sicuro e duro.
Quando raccontai dell’accaduto a certi amici, si misero a
ridere. Pare che pochi giorni prima una troupe televisiva aveva inquadrato la
stessa scena, ma con intenzioni diverse. Anziché “il sogno dorato” di Luca Giordano documentarono il prodotto dei sogni venduto
nella zona, la droga. Quei tali erano quindi sentinelle dello spaccio di droga,
che probabilmente avevano già dovuto rispondere di essersi fatti sfuggire la
troupe. O forse ne tutelavano l’esclusiva, chissà?
La foto era rimasta nella piccola macchina fotografica. Il
cestino che conservava i file cancellati prima di eliminarli definitivamente fece
da scrigno alle mie foto. Quella scena così beata, l’atmosfera serena, l’aria
aurea, le conservo ancora negli occhi. L’intreccio di quell’esperienza con un
accadimento marginale, l’ha trasformata in un raccontino. Si usa poi fare una
qualche considerazione. Che a dire il vero provo e riprovo, ma nessuna mi pare
adeguata. Mi è venuto in mente il linguaggio: chi parla in quel modo , se viene
da levante o da ponente è di quella pasta. Si potrebbe metterla anche sullo
psicologico. O sui confronti di stili di vita. Persino formulare una
conclusione tra luce e il buio. Ma nessuna di queste considerazioni mi pare sia
adeguata ad una conclusione. Una constatazione forse sì. Ho vissuto un’emozione
da ricordare. Per giorni avevo contemplato quella luce. La foto l’avevo
preparata. Avevo atteso l’occasione di andare, l’ora e il momento culminante
dello spostamento della luce del tramonto. Ho guardato i vari scatti molte
volte dopo. I social non erano ancora un sistema di condivisione che
utilizzavo. Ripeto la scena mi è rimasta nel cuore. Una scena nella quale quel
gruppetto non c’è. Fuori dal margine dell’inquadratura non furono mai ripresi.
Volevo raccogliere la luce e su di loro, pur stando nella stessa area, la luce
non era mai scesa.
Arturo Lania
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