mercoledì 24 novembre 2010

Ho fermato un pestaggio

Tornavo a casa con il buon sapore della serata passata a conversare su Bulgacov, la storia della Chiesa, ed altri argomenti così. Ero concentrato sul piacere intellettuale che ancora provavo, non mi ero nemmeno accorto che la piazza era immersa nel buio perché le sue luci erano ancora spente. L’avevo appena attraversata, quando alle mie spalle ho sentito come un tonfo di un grosso sacco che cade a terra. D’acchito non avrei voluto voltarmi. Non volevo essere disturbato dai miei pensieri. Poi ho sentito delle voci, non gridate, ma con tono di minaccia, ben riconoscibile anche a distanza. Tre individui erano intorno ad un uomo a terra, magro, tutto raggomitolato come quando ci si difende da un pestaggio. Il più grosso era alto almeno uno e novanta, e sapeva bene come picchiare, non colpiva a caso. Colpi ben assestati al volto, e l’uso delle nocche per incidere lo zigomo. Un altro, alto e magro, ogni tanto scalciava, ma più che altro sembrava eccitato dalla violenza di pestare un indifeso. Il terzo assisteva, con l’aria di chi si era trovato al posto sbagliato al momento sbagliato. Il più grosso non smetteva di colpire con la cadenza del professionista, la preda era a terra.
Stavo già riattraversando, mentre la mia psicologia borghese tentava di valutare la situazione. L’istinto ha un valore formidabile in certe circostanze, mentre la ragione è un intralcio. Così lasciandola a fare i suoi calcoli sul rischio, mi ero parato in mezzo a quel sabba. Avevo in mente quelle scene dei pestaggi notturni della polizia americana sugli immigrati. A terra c’era infatti un ubriaco dell’est, forse polacco. Solo da quel punto mi ero accorto della presenza del suo compagno, attonito, magro e bagnato, che non era nelle condizioni di fare nulla. In quell’istante mi sono reso conto del buio, della pioggerellina e del fatto che fossimo soli. Ero in pericolo. Ma di notte, nel buio, siamo tutti un pericolo. E il picchiatore lo sa. Fino a quel momento non c’erano testimoni e lui era il capo branco. Ora la scena era cambiata e l’adrenalina consumata, nel sangue stava cominciandogli al fare l’effetto tossico. Continuare, era chiaro, significava avere a che fare con me. Piccoletto per costituire una minaccia fisica, ma italiano. La mia sola presenza aveva cambiato la situazione. Quello che gli ho detto è quasi inutile, smettila, vattene. Era il mio corpo a parlare. Il corpo che testimoniava che l’uomo a terra non era più solo e l’uomo grosso non era più il capo branco indiscusso. Anche la sua ragione è intervenuta. Gli ha suggerito di giustificarsi, per questo so che tutto è nato per una sigaretta negata per cui lo straniero ha detto una parolaccia. Questo, sedutosi sul marciapiede, con lo zigomo sanguinante diceva – Ma che ho fatto? – Anche il suo compagno gli faceva eco con la stessa domanda – Ma che ha fatto? - .
Sono cattolico, ma non sono un ideologo della Caritas. Per tre anni sono stato missionario tra i disadattati di questa città. Non ci sono angioletti. Il buonismo lo lascio a chi fa il telespettatore di professione. Ma ieri sera l’uomo a terra era l’indifeso e l’uomo grosso il ricco occidente, che seduto nella sua bella macchina non sopporta il fastidio del povero. A cui ha sentito il diritto di impartire una lezione da cane. Voi da che parte sareste stati?

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