giovedì 19 gennaio 2017

Pazzo, magari

Pazzo, magari. Una volta un mio amico, caro, Riccardo, mi ha dato del pazzo. Mi ricordo di una volta anni fa, sembravi un pazzo. Da tutta la vita leggo libri. A furia di leggere, si sa, le cose si imparano. E si finisce per far sapere che sai. Correggi oggi, correggi domani, un poco antipatico ti fai. Non è che le persone ti vogliono male, ma il desiderio di ridimensionarti le anima. Così non potendo correggerti, buttano lì frasi sul personale. Sai tutto tu. Che presunzione. Chissà dove lo hai letto. Vai troppo oltre. Ma poi in fondo in fondo, sei pazzo. Insomma, se non ti offendi, almeno ti offendono. Comunque tutte cose da lasciar perdere, frasi da ignoranti. Però la pazzia è un fatto diverso. Desiderabile. Ha a che fare con l’estraneità.  Quando passi la vita tra le idee, l’estraneità la ambisci. Attiva la creatività. Se hai delle idee, poi, per realizzarle ci vuole. Ha a che fare con la santità. E che, no? Le storie di santi in verità mi mancavano. Sono letture recenti, contemporanee. Prima mi disinteressavo ai santi. Mi avevano fatto capire che fossero inimitabili. Poi, dopo tanti Papi Santi, è arrivato il papa peccatore. Quando uno si presenta come te finisce che lo ascolti. E fosse niente. Finisce che capisci anche quello che dice. Così volendo mettere in pratica certe sue indicazioni, circa il modo di seguire Gesù, la curiosità di capire come hanno fatto quelli, i santi, i super della fede, viene. Anche per la curiosità ci vuole un poco di pazzia. C’è del rischio ad essere curiosi. Si sa. Difatti. Ho scoperto che i santi, quei tipi super e inimitabili, nemmeno hanno bisogno di essere imitati. Già mi somigliano. Gente fragile, abbastanza sfortunata, disadattata, creativa e sufficientemente strana da essere matta. Diciamolo così, è più elegante, più narrativo. Santa Faustina Kowalska, Santa Teresa di Lisieux, per dire le sante a me più vicine. Ma tutto l’elenco dei santi è fatto da personaggi dai tratti e dagli episodi singolari che li fanno entrare nella categoria detta. Ma senza impelagarmi in una lista infinita di racconti, basta che faccio un altro nome, san Giovanni di Dio. In manicomio c’è proprio stato, probabilmente per disturbo bipolare. Fatti suoi, certamente. Solo che è il fondatore dell’ospedale moderno, così come lo conosciamo oggi. La sua frase più famosa, persino più famosa di lui, fate bene fratelli. Gli ospedali che di questa frase hanno titolato la loro organizzazione sono diffusi in tutto il mondo. Santità, creatività, follia. Nel 2005 vince il Premio Campiello un autore che nel manicomio ha passato la giovinezza, Pino Roveredo. Oggi affermato scrittore, padre di famiglia, sostenitore di progetti accanto agli ultimi. Anche per questo ci vuole follia. Proprio accogliere è l'atto della follia. Matti sono quei genitori che accolgono i figli nati con malattie gravi. Matti sono quelle coppie che si perdona e restano unite. Matti sono quelli che lasciano la propria vita comoda per stare accanto agli ultimi. Che poi ultimi, cosa li rende? Il giudizio di chi non li conosce, non li vede.  Ho un ricordo di quando feci esperienza con le suore di Madre Teresa di Calcutta, le Missionarie della Carità. La vita mi aveva fatto letteralmente a pezzi. Credevo che non mi sarei mai ripreso. Poi inizio a collaborare con le suore, tra le esperienze, accanto ai malati mentali. Una volta avevo in affido un fratello del manicomio criminale, che fu ospitato per un tempo presso la nostra casa. Un gigante enorme e potente, docile e gentile. Quando il suo psichiatra venne a trovarci mi colpì molto. Alto, magro, cappotto di pelle, occhiali Top Gun neri, capelli lunghi, un’aria da capo della mala dei film anni Settanta. Gli chiesi, professore ma come mai Mario qui è tranquillo, sereno, docile? Mi rispose. Lo vuoi sapere? Qui si sente amato. Ci credo, se l’ho chiamato fratello, è dovuto al fatto che lo consideravo uguale a me. Tra matti, si va d’accordo. Tra gli ultimi, cominci a vedere il mondo invisibile. Fatto di persone concrete, con storie, famiglie, fallimenti, sentimenti. Quindi corporei, reali. Insomma, gli invisibili non sono spiriti, sono non visibili. Non li vedi. Anzi non li vedono. Infatti ho imparato a vederli. Una volta fui chiamato a dare una testimonianza ad un gruppo di scout. Raccontai loro che le suore e i poveri avevano in comune una caratteristica, si ricordano sempre il tuo nome. Anche a distanza di anni. Si ricordano il nome e la tua storia. Per loro sei persona, il tuo nome conta. Infatti agli invisibili, agli ultimi, a quelli ai margini, ai matti, mi è stato facile raccontare la mia storia. I miei fallimenti, le mie fragilità, la mia follia. In questo modo ho ricucito il tessuto strappato, la trama sfilacciata dell'esistenza. Ho ritrovato il senso di camminare nella vita, e camminando ho ritrovato una direzione da percorrere, per trovare un Dio fattosi Gesù. Un Gesù che ha voluto mettersi qui, accanto, insieme a tutte queste fragilità, debolezze, follie. Un Gesù che per amarlo, in questa vita fatta così, pensando che lui ne è l’autore, ci vuole una bella dose di follia. Allora, pazzo? Magari.

1 commento:

  1. L'ho letto tutto. Molto intetessante nella sua semplicitá e concretezza. Io lo dicevo che eri folle.

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